“Nella logica di Anynomous, hackerare delle informazioni segrete non è un atto di terrorismo ma un modo per appellarsi allo spirito originario del Web. All’idea cioè che l’informazione debba essere libera e aperta e che nessuno se ne debba appropriare. Dal punto di vista dei governi è una forma di terrorismo, ma per Anonymous è una forma di attivismo politico nell’accezione più positiva del termine”. Lo sottolinea il professor Simone Mulargia, esperto di social network e Internet dell’Università La Sapienza di Roma, a proposito della notizia del 12enne canadese che avrebbe colpito alcuni siti governativi per conto di Anonymous in cambio di alcuni videogames.
Non le sembra che “corrompere” un ragazzino sia un delitto molto grave?
Bisognerebbe in primo luogo andare più in profondità nella conferma della storia. Se questa pratica fosse vera e certificata, è apertamente in contraddizione con gli ideali di Anonymous. Bisognerebbe però vedere se al 12enne canadese sono stati dati in cambio dei prodotti con i videogame, hardware incluso, o soltanto i software a loro volta hackerati.
Eppure sorge spontanea la domanda se si possa ancora vedere Anonymous come un gruppo animato da nobili ideali…
Noi pensiamo sempre agli hacker come a dei personaggi brutti, sporchi e cattivi. La configurazione generale in realtà è quella di un gruppo di persone le quali hanno recuperato l’afflato iniziale della rete. Chi ha inventato Internet si pensava e si definiva in se stesso come hacker. Il termine inglese hacker deriva dal verbo “to hack”, che significa “mettere le mani su qualcosa”, smontare un oggetto per potersene appropriare. E’ questa l’attività che Anonymous ha fatto fin dall’inizio, con un senso che per noi europei è un po’ complicato. All’origine c’è l’idea di attivismo politico nordamericana che è staccata dai partiti. Anonymous ha come obiettivo principale che l’informazione sia libera e aperta e i dati non appartengano a nessuno. In questo senso il gruppo di hacker si batte contro tutta una serie di strutture sociali che più o meno legittimamente hanno la proprietà su alcune informazioni.
Insomma gli hacker non sono un gruppo separato dal resto della società?
No, anzi. Spesso sono le stesse organizzazioni ufficiali che cercano di avere tra le loro fila degli hacker o degli ex hacker. Del resto non c’è modo migliore per diventare un consulente di queste grandi organizzazioni della sicurezza che hackerare il loro sito. Il messaggio è un po’ quello di dire: “Io ci sono riuscito, se domani vuoi che nessuno ci riesca prendimi come consulente e ti dico come fare”.
Secondo lei, al di là di questi ideali “nobili”, le attività di sabotaggio degli hacker hanno anche una componente “violenta”?
Dipende dal punto di vista. Secondo i parametri dell’economia politica tradizionale, è effettivamente giusto che lo Stato e le organizzazioni abbiano un controllo materiale e di confine rispetto a una risorsa, che può essere un territorio o alcuni dati. Per Anonymous non devono appartenere a nessuno, in quanto deve venire meno qualsiasi barriera o filtro, o come vengono chiamati in termini esplicitamente informatici i “privilegi dell’amministratore”. Questi ultimi per gli hacker sono di per sé un furto, una pratica che va contro la razionalità dietro la gestione dell’informazione. Più persone hanno accesso all’informazione, più persone possono gestirla e manipolarla e migliore sarà il risultato in termini di conoscenza. Questa è l’utopia che sta alla base di Anonymous, che nasce in realtà per motivi assolutamente non politici ma addirittura di divertimento.
Chi c’è veramente dietro ad Anonymous?
Anonymous evidentemente è un’associazione internazionale che non ha confini, ma che agisce su territori e Stati che hanno confini. Questi ultimi hanno anche la responsabilità di gestire la sicurezza nazionale, che è ormai sempre di più collegata al fatto di avere o meno le informazioni, basti pensare alla polemica di questi giorni sul ruolo della National Security Agency americana nella gestione forse borderline delle informazioni dei governi europei alleati. L’informazione è un’arma e una risorsa, e un buon software vale di più di un buon caccia di ultima generazione. Anonymous partendo da principi di fatto non politici agisce politicamente, e in questo modo nella pratica può andare contro le leggi dello Stato. Quando però lo Stato definisce la possibilità di raccolta non autorizzata di informazioni segrete un atto di terrorismo, in questo senso Anonymous compie atti di terrorismo.
(Pietro Vernizzi)