Il 26 aprile 2013, a dieci giorni dall’udienza di discussione (16 aprile) e dopo due rinvii, la prima sezione della Corte Suprema indiana, composta da tre giudici e presieduta dal Chief Justice Altamas Kabir, ha reso l’attesa decisione sulla questione della titolarità delle indagini concernenti l’incidente in cui due pescatori indiani, confusi per pirati, sono stati uccisi dai colpi sparati dai fucilieri di Marina imbarcati come Nucleo di protezione militare sulla petroliera Enrica Lexie, battente bandiera italiana.
Nella breve ordinanza, premesso che l’incidente di cui trattasi ha avuto luogo il 15 febbraio 2012 a 20.5 miglia marine dalla linea di base del mare territoriale, cioè nelle acque internazionali appartenenti alla zona contigua indiana e che all’Unione indiana spetta pertanto perseguire i due marò in base “al sistema di giustizia penale prevalente” in India, i giudici hanno affermato che “non è responsabilità della Corte Suprema decidere quale tipo di agenzia di polizia utilizzare per le indagini”.
Conseguentemente, i giudici hanno lasciato al Governo federale la facoltà di utilizzare per le indagini l’organismo “più appropriato”. Il che vuol dire che la National Investigation Agency (NIA) – ente istituito dal Parlamento indiano nel dicembre 2008 a seguito dell’attacco terroristico avvenuto il 26 novembre precedente a Bombay – può proseguire le indagini iniziate in base alla richiesta formulata il 1 aprile 2013 dal ministro dell’Interno indiano, motivata, come ribadito all’udienza dall’Attorney General Vahanvati, dalla necessità di condurre le indagini rapidamente, il che non rendeva possibile scegliere come ente investigativo la comune polizia criminale, il Central Bureau of Investigations (CBI), notoriamente sovraccarico di indagini. In effetti, fin dal 4 aprile 2013, la NIA ha registrato il caso (RC-04/2013/NIA-DLI).
L’investigazione, come risulta dalla relazione preliminare, avviene ai sensi degli articoli 302, 307 e 427 del Codice penale (omicidio e tentato omicidio) in combinazione con l’art. 34 del medesimo Codice (concorso di persone nel reato) sia dell’articolo 3 dall’Atto relativo alla repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima del 20 dicembre 2002 (cd. SUA Act), adottato per dare esecuzione alla omonima convenzione, promossa dall’Organizzazione internazionale marittima dopo il caso della Achille Lauro e firmata a Roma il 10 marzo 1988. Con una memoria difensiva presentata alla Corte Suprema ed intervenendo all’udienza del 16 aprile, la difesa italiana aveva decisamente contestato la competenza della NIA, sostenendo che il reato del quale erano accusati i due marò non ricadeva nelle competenze dell’agenzia, quali risultanti dall’atto istitutivo.
La NIA sarebbe stata competente soltanto qualora i marò fossero imputati di reati previsti dal menzionato SUA Act. Ad avviso della difesa italiana, peraltro, l’applicabilità di tale fonte, che prevede all’art. 3, lett. i) per il delitto di omicidio la pena capitale, sarebbe stata del tutto inconciliabile con le “assicurazioni scritte” fornite all’Italia dall’India prima della ripartenza dei due marò, secondo le quali la pena di morte in India si applica solo ai cosiddetti “casi rari, tra i più rari”. L’ordinanza, pur precisando che l’Italia ha la possibilità di presentare ricorso “nelle sedi appropriate” contro l’utilizzazione della NIA, ha chiesto all’Agenzia antiterrorismo di “completare rapidamente le indagini”. L’ordinanza, inoltre, stabilisce, che la competenza a giudicare il caso, come prefigurato dalla sentenza della Corte Suprema del 18 gennaio scorso, spetta alla Patiala House Court di New Delhi, il collegio istituito ad hoc e presieduto dal Chief Metropolitan Magistrate Amil Bansal, scelto dalla High Court di Delhi.
L’ordinanza della Corte Suprema aggiunge che questo tribunale speciale “dovrà occuparsi esclusivamente del caso” dei marò e “dovrà operare con ritmo quotidiano”. Fino alla piena operatività del detto tribunale i due marò resteranno comunque sotto la custodia della Corte Suprema e potranno continuare a risiedere nell’Ambasciata d’Italia a New Delhi.
Risulta così pienamente confermata l’estrema debolezza del firewall costituito dalle assicurazioni scritte” che, con grande leggerezza, il 21 marzo scorso sono state ritenute dal Governo italiano “adeguate” ai fini della decisione di “riconsegnare” all’India i due marò. Invero, assicurazioni del genere non possono essere considerate “adeguate”, quando non sia offerta la “garanzia assoluta” che lo Stato cui la persona debba essere consegnata non applichi la pena di morte.
Lo affermò con limpida chiarezza la nostra Corte costituzionale nel caso Venezia, con sentenza n. 223 del 25-27 giugno 1996, concernente un caso di estradizione verso gli Stati Uniti di un cittadino italiano accusato di omicidio di primo grado con sentenza di una Corte della Florida. A seguito della nuova ordinanza della Corte Suprema i media si sono interrogati quanto alla possibilità che, per il reato di cui sono imputati, possa essere irrogata ai marò la pena capitale. Ora, a prescindere dalla segnalata inadeguatezza delle dette “assicurazioni scritte” – ed a maggior ragione delle assicurazioni verbali che il Primo ministro indiano Manmohan Singh avrebbe dato al nostro Presidente del Consiglio nel colloquio telefonico del 9 aprile 2013, secondo quanto si apprende dal comunicato stampa che figura sul sito di Palazzo Chigi – l’ipotesi della pena capitale appare francamente inverosimile.
Riteniamo impensabile infatti che sia addebitata ai fucilieri una condotta che concretizzi un atto di terrorismo, essendo assenti i presupposti (atti di violenza contro una persona a bordo, posti in essere illecitamente ed intenzionalmente, i quali siano suscettibili di compromettere la sicurezza della navigazione della nave (articolo 3, par. 1, lett. b della convenzione di Roma del 1988). Anzitutto, l’azione dei marò a bordo della Enrica Lexie, lungi dall’essere illecita, si inseriva in un’attività di contrasto alla pirateria, che trova fondamento nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, prima ancora che nella legge italiana.
Inoltre, è pacifico che nello sfortunato incidente la condotta dei due fucilieri non ha avuto alcuna intenzionalità, ma è dipesa, semmai, da un comportamento colposo. Infine, l’azione non ha intralciato la sicurezza della navigazione della nave, che è rientrata in porto senza bisogno di alcun soccorso. E ciò in disparte dall’immunità funzionale dei due marò, i quali nella fattispecie hanno agito nell’esercizio delle funzioni di organo dello Stato italiano, il che dovrebbe di regola comportare il difetto della giurisdizione dell’India.
Alla luce di questa nuova, prevedibile, débacle della difesa italiana, trascorsi inutilmente 14 mesi dai fatti, appare indispensabile che il prossimo Governo individui gli strumenti opportuni per assicurare il coordinamento dell’azione italiana, che finora non si è dimostrata particolarmente efficace né sul piano politico-diplomatico, né su quello propriamente giudiziario. In questo contesto si auspica altresì un deciso impegno del nuovo Governo anche nei confronti degli oltre 3mila detenuti italiani all’estero, mediante un significativo rafforzamento dell’assistenza diplomatico-consolare di cui gli stessi hanno diritto.