Benjamin Netanyahu e Donald Trump, alla ricerca di “armi di distruzione di massa made in Teheran” (questa volta nucleari) sembra non abbiano convinto nessuno. I 55mila file raccolti dall’intelligence israeliana mostrati vagamente dal leader israeliano al massimo fanno vedere dei capannoni cerchiati di rosso, difficile dimostrare siano la prova che l’Iran stia producendo armi nucleari aggirando l’accordo del 2015 contro cui, da tempo, si scaglia il presidente americano. Anche l’Unione europea ha giudicato poco credibile la documentazione. Resta però, come ci ha spiegato lo studioso e docente di origine iraniana Rony Hamaui, tra i massimi esperti di economica islamica, un quadro molto tetro: “Lo scacchiere medio orientale è sicuramente quello oggi a più alta tensione al mondo”. Ecco perché.
Professore, che idea si è fatto dei documenti presentati da Netanyahu che accuserebbero l’Iran?
E’ oggettivamente difficile dare qualunque giudizio sulle informazioni che si sono volute dare, sul fatto che i servizi segreti israeliani abbiano davvero trovato nuove informazioni o no. E’ un dato di fatto che le dichiarazioni di Netanyahu si muovono all’unisono con quanto Trump va dicendo da tempo.
L’impressione infatti è quella di voler forzare la mano in accordo con il presidente americano per mettere in difficoltà il nemico comune, l’Iran. E’ così?
C’è molta retorica da parte dei due personaggi, ma andando un attimo al di là di questa retorica e guardando nel dettaglio le richieste di Trump, non tutto è sbagliato.
In che senso?
Trump dice tre cose: vuole un controllo dei missili balistici; un prolungamento dell’accordo che oggi è a termine ma che è pieno di incognite sul dopo; e la possibilità di fare ispezioni in qualunque momento e in qualunque posto. Queste richieste, guardate in modo oggettivo e non di parte, sembrano anche per certi versi ragionevoli, non sono assurde. E ‘utilizzo politico e il modo con cui vengono fatte che ci lascia esterrefatti.
Intende un modo aggressivo che rischia di far precipitare la situazione?
Esattamente. Questo modo molto aggressivo e non diplomatico di affrontare le situazioni fa parte del personaggio, ma quanto questa aggressività abbia ad esempio pagato sul caso nordcoreano di cui Trump si è preso ogni merito, è tutto da verificare. Molti sostengono che abbia portato frutto, altri sostengono si sarebbe arrivati a questa situazione di pacificazione anche senza di lui.
Nel caso dell’Iran?
Nel caso dell’Iran credo che Trump voglia usare la stessa strategia, ma qui siamo davanti a una situazione molto più complicata e difficile, c’è un rischio reale non banale.
Il quadro è in effetti inquietante, teniamo conto dell’alleanza sottobanco tra Arabia Saudita e Israele in chiave anti iraniana.
Non direi sottobanco, è piuttosto evidente. Quello che colpisce di Trump è, ad esempio nel caso dell’Arabia Saudita che rimane il miglior alleato americano con cui il presidente ha firmato contratti miliardari, l’accusa di manipolare i prezzi del petrolio. L’ambiguità trumpiana è questa: è capace di atteggiamenti ambigui e aggressivi sia con gli alleati che con i non alleati. Lascia esterrefatti. E’ un giocatore d’azzardo e gioca in questo modo. Il suo modo di porsi, anche quando non ha tutti i torti, lascia perplessi.
Sappiamo che Israele non accetterà mai la presenza iraniana in Siria: secondo lei il gioco è limitato a questo paese o potrà ampliarsi in modo incontrollato?
La vera partita non è solo la Siria, se ne giocano tantissime in simultanea. Una nuclearizzazione dell’Iran anche solo pacifica fa paura a tutti, ma anche i sauditi stanno costruendo le loro centrali nucleari camuffandole come elettriche. Quello scacchiere è la zona del mondo a maggior tensione. E’ davvero una polveriera dove tutti gli equilibri sono saltati, basti pensare alla Turchia che non si capisce se è o no ancora nella Nato. L’azzardo di Trump in politica estera può essere pericoloso e non pagare tutte le volte, ammesso che questo sia accaduto.
(Paolo Vites)