Lo stato islamico a Mosul arretra sotto la pressione delle truppe alleate attestandosi nel cuore della città. A fornire la notizia sono gli attivisti anti-Isis presenti nella metropoli irakena. Martedì le Golden Eagles di Baghdad sono avanzate per cinque chilometri lungo il fronte orientale. Il quartiere di Kharama è stato abbandonato dai miliziani e la popolazione attende l’arrivo dei liberatori, mentre il distretto di Gogjali è caduto dopo scontri proseguiti strada per strada. Abbiamo chiesto un commento a Carlo Jean, generale e analista militare.
Generale, a Mosul siamo realmente arrivati alla fase decisiva?
Quanto sta avvenendo a Mosul certamente non è decisivo per la stabilizzazione dell’Iraq, ma lo è per il successo degli sciiti sui sunniti. L’Isis si è erto a difensore dei sunniti, e le milizie sciite hanno un ruolo molto importante nell’attuale battaglia per Mosul.
A che punto siamo in città?
Il problema fondamentale dell’Isis è il fatto che la città è molto grande e il numero di combattenti di cui dispone il califfato è molto ridotto. Le difese perimetrali dello stato islamico sono quindi molto deboli, e infatti i villaggi attorno a Mosul sono stati conquistati facilmente. Attualmente le forze irakene, i peshmerga curdi e le milizie sunnite sostenute dai turchi sono giunte alla periferia della città.
Lei prima ha detto che “siamo ancora lontani dalla stabilizzazione dell’Iraq”. Perché?
Per le dispute in atto tra curdi, sunniti, sciiti e le varie milizie tribali. E’ possibile quindi che in Iraq si determini una situazione di tipo libico.
In che senso?
Nel senso che a prendere il potere saranno le milizie, rispetto al potere centrale che invece è abbastanza debole e che può disporre solamente delle forze governative che non sono molto consistenti.
Come evolverà l’Isis in questo scenario?
Dopo la perdita di Mosul e l’immanente perdita di Raqqa, molto verosimilmente l’Isis deve cambiare strategia. Non può essere più un proto-Stato con un esercito regolare e posizioni fisse da difendere a oltranza, ma diventerà una rete sommersa nella società, appoggiata dai sunniti e finanziata sempre da Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. L’Isis continuerà a svolgere un’azione di terrorismo, di guerra partigiana e insurrezione sia in Iraq sia in Siria.
Significa che l’Isis guarderà al modello di Al Qaeda?
Sì, l’Isis si avvicinerà parecchio al modello di Al Qaeda. Per sopravvivere non ha altro sistema che fare così. Un esercito regolare e strutture fisse permanenti sono estremamente vulnerabili. Al contrario un’associazione segreta immersa nella società, organizzata a rete e con cellule indipendenti le une dalle altre, può avere maggiori probabilità di sopravvivere.
Quindi l’Isis è ben lontano dallo scomparire…
Il predecessore dell’Isis è stato Al Qaeda in Iraq guidata da al Zarqawi. Nel 2006, dopo la morte di quest’ultimo, Al Qaeda in Iraq ha subito una forte sconfitta e ha cambiato sia strategia sia tattica per sopravvivere. Ora la propaganda dell’Isis sostiene che cambierà nuovamente strategia, ma comunque sopravvivrà per poi riemergere e conquistare la vittoria che per loro è stata annunciata da una profezia divina.
Questa trasformazione comporterà un intensificarsi degli attentati in Occidente?
E’ possibile. Gli attentati in Medio Oriente possono godere di forti sostegni da parte della popolazione sunnita. Ciò provoca però delle reazioni senza tanti riguardi da parte delle forze di sicurezza. In questi Paesi ai terroristi non si manda certo l’avviso di garanzia, bensì li si prende e li si fa fuori. L’Occidente invece è più vulnerabile, anche in funzione del suo sistema di libertà e di autonomia.
(Pietro Vernizzi)