Stavano per saltare i tappi di Champagne quando il sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura, ha sedato gli entusiasmi. Gran parte degli organi di informazione, ieri, avevano riportato la notizia secondo la quale i nostri marò erano stati liberati su cauzione. Sempre a disposizione delle autorità indiane, ma in libertà, seppur condizionata. E, invece, niente. Non che la notizia sia necessariamente falsa. Ma il ministro non è in grado di accreditarla. «Non confermo nulla – ha detto – finché non vedo niente per iscritto. Abbiamo avuto troppo sorprese e delusioni. L’altro ieri, la cauzione era stata rifiutata, per esempio». Qualcosa non ci torna. Abbiamo fatto il punto con Annalisa Ciampi.
Il sottosegretario, che sta seguendo la vicenda, non è in grado di dire se la notizia sia vera o meno. Come è possibile?
Temo che, effettivamente, non disponga delle informazioni necessarie. Non che non voglia commentarle. Si ha l’impressione che chi sta gestendo la situazione non si sappia muovere sulla base del diritto indiano. Eppure, abbiamo legali in loco. Possibile, vien da chiedersi, che non siano in grado di stabilire, secondo la legge nazionale, se sia ottenibile, in queste circostanze e con questi sospetti, la libertà su cauzione? Del resto, non è l’unica recente anomalia.
Quali sono le altre?
Ho trovato poco comprensibile alcuni precedenti passi del nostro governo. Quale, ad esempio, l’aver offerto, al di fuori di una trattativa globale, un risarcimento alle vittime. Una mossa controproducente. Si sarebbe potuta tenere come ultima carta, da giocare più avanti. Si è trattato di una decisione precipitosa, senza la certezza dell’esito che avrebbe potuto produrre sulla trattativa diplomatica. E, oltretutto, relativamente a cifre tutt’altro che esigue. A ciascuna famiglia dei pescatori uccisi, infatti, sono stati versati circa 150mila euro.
Crede che potrebbe condizionare il processo, essere inteso, cioè, come una sorta di ammissione di responsabilità?
Non credo. Il processo penale seguirà il suo corso. Trovo, in ogni caso, che di recente abbiamo fatto un altro grosso errore.
Quale?
Quando la nave è stata liberata, sotto cauzione, si è parlato di un grande successo. Ora: questo, in Italia, sulla base di tutti i diritti esistenti, non sarebbe potuto avvenire. Per detenere una nave o delle persone è necessario un sospetto di responsabilità penale che, in quel caso, non c’era. Solo i due marò, infatti, sono accusati. A quale titolo, quindi, l’hanno trattenuta? Anche in questo caso, inoltre, si è versata una cifra ingente. Con la garanzia che, eventualmente, se le autorità indiane lo riterranno necessario, la nave sarà ricondotta in India. Come se un viaggio della nave e delle persone che erano a bordo dall’Italia all’India sia impresa facile. In sostanza: abbiamo ringraziato per un atto dovuto, pagato per quello che non dovevamo pagare e ci siamo assunti un impegno che non dovevamo prenderci.
Come valuterebbe, invece, il pagamento di una cauzione per liberare i marò?
Non mi stupirebbe. L’Italia è il soggetto in nome e per conto del quale i due fucilieri del reggimento San Marco si trovavano in missione. Non sono due cittadini qualsiasi, ma organi dello Stato. Si tratterebbe di una soluzione ragionevole. Per quanto noi contestiamo gli addebiti, infatti, il titolo per detenerli c’è.
Quanto crede che stia incidendo il conflitto tra la corte dello Stato di Kerala e quella di Nuova Delhi?
Effettivamente complica le cose. Non credo che, tuttavia, giustifichi il muoversi per tentativi da parte del governo italiano. Del resto, anche se fosse stato uno Stato federale, ci sarebbero in ogni caso stati diversi gradi di giudizio prima di giungere ad una conclusione e non si sarebbe potuto escludere un conflitto tra le diverse corti.
Ora cosa dovrebbe fare il governo italiano?
A questo punto non ci resta che insistere perché il processo sia celebrato il più in fretta possibile. E, se dal punto di vista del diritto indiano, esiste effettivamente la possibilità di ottenere la libertà su cauzione, allora sarà meglio muoversi, e velocemente, in tal senso.
(Paolo Nessi)