All’ultimo momento la Turchia ha chiesto all’Ue altri 3 miliardi di euro, oltre ai 3 miliardi già stanziati precedentemente, in cambio della gestione dei nuovi flussi di migranti. Lo ha reso noto Martin Schulz, presidente del Parlamento europeo, in una conferenza stampa a margine del vertice Turchia-Ue di lunedì. A formalizzare la richiesta è stato il presidente del consiglio turco, Ahmet Davutoglu, il quale ha sottolineato che la sua proposta è “seria, e tutti i leader dei 28 (Paesi Ue, ndr) riconoscono che deve essere valutata altrettanto seriamente”. Ne abbiamo parlato con Nihal Batdal, esperta di temi socio-politici turchi.
Che cosa ne pensa delle nuove richieste avanzate dalla Turchia al vertice con l’Ue? La richiesta di altri 3 miliardi è giustificabile?
La Turchia è stata molto coraggiosa nell’accogliere quest’ultima ondata di profughi, ma dal punto di vista pratico manca un’organizzazione degna di questo nome. Ogni giorno in Turchia aumenta il numero dei rifugiati che vivono per le strade, e d’inverno le temperature scendono di molto. Accogliere non significa soltanto aprire i confini, ma anche offrire a queste persone quantomeno il minimo indispensabile per vivere.
Perché i profughi sono lasciati per strada e non si fa nulla per accoglierli?
Sono stati creati dei campi profughi nelle città al confine con la Siria. Si tratta però di centri di accoglienza provvisori, e ci si aspettava che i migranti siriani vi sarebbero rimasti. Con il perdurare della guerra però i profughi non hanno più intenzione di ritornare in Siria, ammesso che quest’ultima esista ancora come nazione. Ora si sono distribuiti tra Istanbul, Ankara, Izmir e le altre città più grandi. La maggioranza di loro però non ha intenzione di rimanere in Turchia, e anche la parte restante non intende rimanere nei campi profughi per tutta la vita.
Le argomentazioni del premier Davutoglu sulla guerra in Siria l’hanno convinta?
Davutoglu ha sottolineato che la Turchia non è responsabile della crisi siriana come non lo è l’Ue, ma che Ankara ne paga il prezzo a causa della posizione strategica del Paese. Personalmente su questo punto non sono d’accordo. La Turchia è coinvolta al 100 per cento nella crisi siriana. Non ha senso dire, come fa Davutoglu, “noi non abbiamo responsabilità”. Si tratta di una crisi internazionale e anche la Turchia deve affrontarne le conseguenze.
L’Ue con questo summit accredita la Turchia di Erdogan come un partner affidabile. E’ una scelta che condivide?
La prima richiesta da parte della Turchia di essere ammessa nell’Ue fu formalizzata nel 1963 con gli accordi di Ankara. Da allora è passata tanta acqua sotto ai ponti e l’Ue ha richiesto il raggiungimento di numerosi e legittimi requisiti. Questi criteri erano basati sul rispetto dei diritti umani e della libertà di stampa, nonché sulla questione curda. Adesso non si parla più di nulla di questo, e la Germania vuole che si chiuda un occhio su tutte le altre importanti questioni purché la Turchia risolva all’Europa il problema dei profughi.
La Turchia ha fatto dei passi avanti sul rispetto dei diritti umani?
Quello attuale è uno dei periodo peggiori della storia della Turchia per quanto riguarda la libertà di stampa e la questione curda. Accreditare Ankara come un valido partner dell’Ue è funzionale soltanto a risolvere il problema dei profughi. A quel punto si cala un velo pietoso su tutto il resto.
La Germania sta svendendo i valori europei e la libertà dei cittadini turchi per il suo tornaconto?
Sì. Il Paese che subisce di più l’ondata migratoria proveniente dai Balcani è la Germania, cioè proprio la nazione che in passato poneva i maggiori ostacoli all’ingresso della Turchia nell’Ue. Adesso però il gioco è cambiato, la Germania ha bisogno della Turchia e la priorità non sono più i diritti umani bensì altre questioni o esigenze.
(Pietro Vernizzi)