Caro direttore,
Parla una persona che dal Regno Unito ha avuto moltissimo. Era la metà degli anni 90 quando gli inglesi, con una borsa di studio europea, mi accolsero nel loro campus universitario nella contea dell’Essex. Il campus era una vera torre di Babele dove convivevano ragazzi di diversa nazionalità, religione e cultura. Questi avevano sogni simili ai miei e soprattutto apprezzavano i valori di una grande democrazia, dove non può esserci spazio per nessun tipo di discriminazione. In quegli anni, se da una parte era fallito il progetto di una lingua europea comune (Esperanto), i programmi Erasmus e Socrates avevano portato in Inghilterra tanti italiani, tedeschi, spagnoli, greci, persone che ho conosciuto e ritrovato anni dopo in posizioni dirigenziali nel pubblico impiego e nell’industria. Questo non era solo il Regno dove si costruiva l’Europa Unita, ma anche il luogo dove questa mescolanza di popoli, di strati sociali diversi, avrebbe potuto contrastare forse la società più elitaria e classista d’Europa (penso ai leader politici britannici di Eaton, Oxford, alle loro massonerie e ai gentleman club londinesi).
Venne il nuovo millennio; la libertà di muoversi in Europa mantenendo gli stessi diritti mi offrì la possibilità di trovare senza problemi burocratici (per intenderci senza il problema di ottenere il visto lavorativo) il mio primo lavoro in Inghilterra. Quanti italiani ho incontrato che grazie all’Europa e ai valori meritocratici di questo paese sono venuti a fare i camerieri a Londra per imparare l’inglese e sono poi diventati chef di ristoranti o rampanti brokers alla City, senza dover aspettare di giocare in prima squadra a calcetto (vedi ultima polemica del ministro Poletti) o di avere i capelli bianchi come succede in Italia!
Quella che ho conosciuto io era la società dove un anziano era il tipico gentleman di cui si parla nei libri di scuola, era una società dove i muratori polacchi provavano a rendere meno terribile la classica casetta in mattoncini a due piani con giardino, una società dove si provava a riempire gli scaffali dei supermercati con prodotti mai conosciuti prima dalla maggior parte dei britannici (vedi l’olio d’oliva toscano o la famosa pasta abruzzese). Tra la comunità di italiani si diceva: “L’Inghilterra sta cambiando in meglio, con tutte le opportunità che offre. Il clima, se vieni dal nord dell’Italia, è simile al nostro, non c’è l’euro ma la sterlina, si guida dall’altra parte rispetto a noi, ma questo lo possiamo perdonare perché alla fine sono inglesi!”. Queste erano le cose che ci dicevamo e che spingevano molti compaesani a venire in questa terra per rincorrere il sogno del lavoro, la famiglia e la “felicità”.
Questo luogo, che ho cercato di descrivervi, è quello dei miei vent’anni, quando mi muovevo libero senza bisogno di passaporto britannico. E che ora non esiste più. Il sogno di avere un’Inghilterra meno classista e un’Europa più forte culturalmente e non solo economicamente, come diceva Jean Monnet, si è spezzato. La colpa, almeno in parte, è di quei meschini giornali scandalistici inglesi che durante la campagna referendaria hanno fatto credere che gli immigrati siano un problema, nonostante volumi di letteratura scientifica che al contrario dimostrano dati alla mano che l’immigrazione porta prosperità. La colpa di questo sogno spezzato è anche dei corrispondenti BBC che non sono mai riusciti, in contradditorio tra politici, a raccontare, con le evidenze, la verità. Colpevoli sono anche gli anziani di oggi che, compatti, hanno votato per la Brexit tradendo l’Europa e negando l’Europa ai propri figli e nipoti. Certo ci sono eccezioni, mi vengono i brividi a pensare che prima del d-day un mio amico inglese di Cambridge è stato convocato con i suoi fratelli dai suoi genitori anziani per sentirsi dire “In questo caso facciamo quello che voi volete, e se avete deciso di rimanere in EU, noi voteremo per rimanere”. In questi giorni la Scozia chiede un’altra opportunità per staccarsi da Westminster, segno che viviamo in un Regno Disunito, dove la maggior parte dei residenti non vorrebbe il divorzio con Bruxelles. E intanto i politici usano i residenti europei come me come merce di scambio per i loro meschini compromessi, che probabilmente non arriveranno prima di un decennio. Molti miei colleghi accademici stanno pensando di lasciare l’Inghilterra, mi sembra una cosa razionale da fare visto che molti centri di ricerca d’eccellenza scompariranno perché con la fine dell’Europa finisce anche il diritto di godere dei generosi fondi pubblici europei.
Un amico italiano che lavorava alla City si è da poco trasferito a Montecarlo e mi ha confermato che molti fondi di investimento stanno traslocando in altri paesi europei. Ma se veramente tutte queste persone e capitali sono in fuga, chi reggerà il sistema sanitario pubblico inglese (penso agli infermieri e ai dottori europei), come si riuscirà a far rimanere scienziati che fino ad ora hanno garantito sviluppo e benessere nel Regno Unito? Non solo, come si farà ad attrarre studenti stranieri se gli stranieri non sono più ben accetti, e chi aiuterà le famiglie a ripagare i mutui quando il tasso d’interesse schizzerà in alto visto che i prezzi stanno cominciando a salire su molti prodotti?
Disponendo di una classe politica incapace e di un partito laburista privo di idee, credo che l’unica cosa ci si debba aspettare da questo Regno Disunito è il declino economico, culturale e sociale. L’Europa non è e non sarà più la stessa senza l’Inghilterra. Il populismo che ha confuso milioni di cittadini di Sua Maestà rischia di abbagliare milioni di cittadini in Italia, Francia ed altri Paesi. Il divorzio non è mai colpa di un solo partner. Un noto politico italiano, scomparso di recente, in un’intervista disse “la colpa della sinistra di questi anni è un riformismo senza popolo”. Penso che queste parole possano essere attribuite in maniera trasversale a tutti i partiti, dalla sinistra alla destra, e a tutti i paesi dal sud al nord d’Europa, e perché no, anche oltreoceano. La speranza è che questo divorzio fra il Regno Unito ed l’Europa non finisca come la guerra dei Roses, ma che per il bene dei propri i cittadini, come dei genitori assennati siano rispettosi, cordiali e pragmatici nel risolvere i loro problemi.