Si è conclusa con una strage l’operazione recentemente condotta dalle forze armate algerine per liberare gli ostaggi stranieri presi due giorni fa da un gruppo jihadista presso l’impianto per l’estrazione di idrocarburi di In Amenas, nel sud-est del Paese. Nel bombardamento degli elicotteri e nel successivo attacco via terra avrebbero perso la vita circa 35 persone, principalmente tra i prigionieri, mentre sarebbero stati uccisi anche 18 militanti islamici. Dopo la conclusione della prima fase, l’impianto risulta essere ancora circondato: fonti della sicurezza, citate dall’agenzia ufficiale algerina Aps, hanno spiegato che nell’area destinata agli alloggi i militanti tenevano gran parte degli ostaggi, mentre altri sono tuttora prigionieri all’interno della struttura, attualmente circondata dalle forze speciali. Abbiamo chiesto al generale Carlo Jean un commento sull’operazione, definita fallimentare a fine giornata dallo stesso governo algerino.
Come giudica quanto avvenuto?
L’operazione non deriva ovviamente da un’iniziativa dei comandanti locali, ma da un sistema che l’esercito algerino utilizza normalmente in casi come questo. Le forze militari algerine, infatti, si sono spesso rese protagoniste di pesanti interventi, come quello a cui abbiamo recentemente assistito, senza mai tener molto conto delle perdite tra civili e ostaggi. Questo avviene praticamente dal 1992, quando vi fu una terribile guerra contro gli islamisti che, a quanto sembra, causò oltre 100 mila morti.
Quale messaggio ha voluto far passare il governo algerino con questo attacco?
Verosimilmente ha voluto dare una lezione agli islamisti, facendo capire loro che, soprattutto di fronte ad attacchi su infrastrutture vitali per l’Algeria come quelle petrolifere, il governo algerino agirà con tutta la sua forza senza farsi intimidire dalla presenza di ostaggi o di civili, ma con l’unico obiettivo di eliminare tutti i terroristi.
Crede che il raid aereo fosse la soluzione migliore?
Assolutamente no, anzi mi sorprende che l’attacco non sia stato effettuato in altro modo. Quello che lascia ancora più perplessi, però, è come un’installazione di quell’importanza, capace di trasportare 9 miliardi di metri cubi di metano all’anno, non fosse adeguatamente presidiata e non fosse oggetto di misure cautelative, pur trovandosi in una zona molto sensibile come quella sud-orientale.
Questa “svista” potrebbe nascondere qualcosa di più?
Probabilmente no. In passato il governo algerino ha sempre cercato di giungere a negoziati con i jihadisti proprio per evitare eventuali attacchi a strutture petrolifere. Queste offensive sono state in gran parte evitate durante la guerra civile algerina, ma quanto avvenuto nei giorni scorsi fa pensare che il governo non abbia attuato alcuna misura di prevenzione. Tutti gli altri impianti presenti sempre in Algeria, al contrario, sono difesi in modo impeccabile.
Come crede che avrebbero agito gli eserciti di altri Paesi, compreso quello italiano?
Avrebbero innanzitutto circondato e bloccato l’impianto, per poi iniziare a negoziare con i terroristi. Del resto, come abbiamo visto in più occasioni, il sistema italiano e quello di altri Paesi è semplicemente quello di pagare riscatti. Ora che è terminata la prima fase, violenta e fallimentare, è molto probabile che ne verrà attuata una seconda di “rastrellamento” dell’impianto e di messa in sicurezza.
Sembra che i terroristi abbiano costretto alcuni degli ostaggi a indossare cinture esplosive. Cosa ne pensa?
Non è certamente la prima volta che ostaggi o prigionieri vengono utilizzati come scudi umani in situazioni di questo tipo o in guerra. Lo abbiamo visto anche in Bosnia, dove i prigionieri venivano spesso legati ai ponti per impedire che vie di comunicazione considerate vitali venissero distrutte.
Cosa si aspetta dalle reazioni delle diplomazie internazionali?
Probabilmente, visto che l’impianto è gestito dalla britannica Bp (British Petroleum, ndr), dall’algerina Sonatrach e dalla compagnia norvegese Statoil, il governo algerino dovrà rispondere del fatto di non aver comunicato e concordato l’operazione con norvegesi e britannici che, molto probabilmente, avrebbero inviato le proprie forze speciali.
Crede vi sia un chiaro messaggio anche dietro questa decisione?
E’ possibile. L’Algeria è molto gelosa della propria indipendenza, come tutti i popoli che hanno affrontato campagne di decolonizzazione molto dure, quindi è possibile che non voglia accettare alcun tipo di interferenza straniera. Bisogna poi dire che l’Algeria da tempo concede alla Francia l’autorizzazione di sorvolare il territorio algerino per portare rinforzi e per andare a bombardare obiettivi nel Mali.
Quindi?
La stampa algerina è stata molto critica nei confronti del governo per questa sua disponibilità nei confronti della Francia. Quindi, essendo in grande difficoltà con la propria opinione pubblica, è verosimile immaginare che abbia voluto agire in questo modo assolutamente indipendente per dimostrare di non sottostare in alcun modo alla volontà francese o di altri Stati.
(Claudio Perlini)