I risultati delle elezioni svoltesi domenica scorsa hanno vieppiù approfondito la sconfitta elettorale del partito governativo che già si preannunciava dall’esito delle primarie tenutesi in agosto. Il margine di 12 punti percentuali di vantaggio accumulati dal candidato oppositore peronista Sergio Massa nei confronti del fronte kirchnerista nei risultati della Provincia di Buenos Aires (il principale distretto elettorale del Paese) segnano il principio della fine dell’”era K”. Bisogna però considerare tre fattori che,al momento, affievoliscono gli effetti del risultato elettorale.
In primo luogo la sconfitta del partito al Governo non significa un cambio radicale della sua rappresentanza nel Congresso Argentino in ambedue le Camere. Poi c’è da aggiungere che già nel 2009 il kirchnerismo soffrì un’amara sconfitta elettorale in una sessione uguale all’attuale, però le divisioni e la mancanza di abilità politica dell’opposizione non seppero capitalizzare quel trionfo, tanto che due anni dopo Cristina Fernandez de Kirchenr si impose nelle più importanti elezioni presidenziali con una percentuale del 54% di votanti mentre il suo oppositore dell’epoca, il peronista Francisco de Narvaez, trionfatore del 2009, ha ottenuto la scorsa domenica solo il 5% dei voti.
Poi c’è da considerare che benché sconfitto duramente nelle principali province del paese, il peronismo modello “K” continua ad essere il partito più votato dagli argentini. Senza dubbio i musi lunghi e le reciproche accuse che i più importanti rappresentanti della frangia peronista al potere si sono scambiati nella serata di domenica, prima di festeggiare in maniera forzata la maggioranza relativa ottenuta ad uso e consumo delle telecamere, rendono perfettamente l’idea di un durissimo colpo inflitto all’attuale fronte politico che ormai solo un imprevisto più da fiction che reale potrà permettergli la permanenza al potere dopo le elezioni presidenziali che si terranno nel 2015.
I distretti elettorali che generalmente forniscono il maggior numero di voti (le province di Buenos Aires, Cordoba, Mendoza, Santa Fe e la città di Buenos Aires) si sono schierati contro il kirchnerismo, che ha subito una dura sconfitta pure in quelli che formano la cintura periferica di Buenos Aires, dove il Fronte Rinnovatore di Sergio Massa si è imposto largamente in ventiquattro sezioni, mentre nelle restanti il kirchnerismo ha vinto di strettissima misura. Il passaggio di dirigenti peronista prima fedeli all’ala governativa e ora passatti nelle file di Massa è in pieno sviluppo e minaccia di ingigantirsi rapidamente.
Questa sorta di transumanza è una caratteristica insita nel DNA peronista, ma è anche importante rimarcare come la maggioranza dei transfughi attuali non ha mai sopportato lo stile cristinista di gestione del potere, più simile ad un fondamentalismo di sinistra rispetto ad una tradizione peronista riformista ma aperta al dialogo e alle componenti di dissenso, cosa che non ha mai trovato spazio nella “cultura K”, che vede in ogni oppositore un nemico da eliminare, proclamando falsamente ai quattro venti poi di proseguire il cammino in nome di tutti. Quello che occorre attualmente all’Argentina è una politica di incontro, di concordia, di politiche statali a lungo termine che le permettano di potersi reinserire rapidamente nel mondo, senza per questo rinunciare ai propri interessi o perdere la sua identità.
Attualmente nella corsa per le Presidenziali del 2015 si collocano sicuramente in prima fila il già citato Sergio Massa e Maurizio Macri, ambedue trionfanti con le loro entità politiche nei rispettivi distretti ( Provincia e Città di Buenos Aires ) anche se sembra che il primo disponga di maggiori chances di estendere la sua proposta a livello nazionale, sebbene possa avere interferenze con i resti del peronismo kirchnerista e con chi appoggerà la candidatura del Governatore Daniel Scioli, che dopo aver dichiarato a più riprese di voler abbandonare la frangia al potere non si è mai deciso ad attuare la cosa.
Macri non è peronista, o per lo meno non è neppure un antiperonista, ben cosciente che il suo partito (il PRO) ha estremo bisogno di un aiuto che solo il peronismo gli può fornire se vuole arrivare lontano come sarebbe nei suoi programmi. Anche se, dopo il contundente risultato elettorale di domenica scorsa, nel proclamare la sua candidatura alle presidenziali del 2015, per differenziarsi da Massa abbia proclamato come la sua squadra sarà formata da fecce nuove e non includerà nessun funzionario che abbia occupato incarichi istituzionali negli ultimi vent’anni. La griglia di partenza si completa, oltre che dalla presenza di Scioli, con le candidature del socialista Hermes Binner e del radicale julio Cobos, anbedue trionfanti nelle loro rispettive province di Santa Fe e Mandoza. La vera incognita risiede nella formulazione di una candidatura da parte del partito kirchnerista : la Presidente Cristina Kirchner è convalescente da un mese per un intervento al cranio ( sul quale rimane un mistero diagnostico ) ed è lontana ( almeno così dicono ) dalla scena politica degli ultimi venti giorni e i suoi strali a causa di una precisa prescrizione medica.
Sebbene non esistano fatti concreti che facciano pensare ad un suo ritiro dalla scena politica, la sensazione che il paese abbia funzionato meglio in sua assenza ha certamente contribuito al risultato elettorale qui commentato . A ciò bisogna sommare le lotte intestine e lo scontro aperto tra vari dirigenti “K” come conseguenza della sconfitta, diatribe intimamente legate al problema della successione a causa dell’impedimento costituzionale ad una terza elezione di Cristina. Risulta però difficile spiegare a chi è lontano dalla vita politica argentina come la forza principale di opposizione al Governo sia il peronismo. La spiegazione di ciò è insita nel suo essere un fenomeno politico curioso, più ricollegabile ad un Movimento che ad un Partito, cosa che ha prodotto nell’arco degli anni dei ciclici cambiamenti di linea politica molto distanti tra loro che hanno dato luogo dapprima alla “terza posizione giustizialista” di Peron,per poi passare al neoliberalismo di Menem e finire allo pseudoprogressismo di sinistra dell’era Kirchner.
Il comun denominatore di questi stravolgimenti è una concezione egemonica del potere sommata a un messianismo politico la cui somma dà come risultante una cieca obbedienza al personaggio che incarna il potere, un servilismo che sostituisce la libertà della persona, che tanto danno ha provocato alla società argentina che giusto domenica scorsa ha celebrato i trent’anni dalla fine della dittatura militare (1976-1983 ) che ha lasciato a saldo migliaia di desaparecidos, la distruzione dell’economia nazionale e la vergognosa sconfitta nella guerra delle Malvinas oparata dal Regno Unito.
Il successo più importante ascrivibile al peronismo nella storia argentina è stato nell’incorporare la classe lavoratrice nella vita del Paese, fattore sempre mancante fino a quel momento, riconoscendole diritti sociali, culturali e politici le cui conquiste sono ancora visibili nell’Argentina attuale ed hanno contribuito alla nascita della più forte classe media del continente latinoamericano, per la quale il progresso a livello sociale ha come base sia lo studio che il lavoro, è una concezione che solo recentemente è stata seriamente minacciata dallo sfacciato clientalismo e la cultura del sussidio intrapresa senza limiti dal potere “K” per soli fini elettorali mai smentiti né nascosti. Saprà questa volta il peronismo allontanarsi da questi schemi, dando vita ad una sua versione più repubblicana e partecipativa? Saranno i vari Massa, Scioli e/o chi sarà candidato presidenziale cosciente di ciò?
La risposta non sta solo nei dirigenti ma sopratutto in tutti i cittadini e la sua chiave risiede nella partecipazione. Non occorre l’eroismo di un Wang Wellin in Piazza Tienanmen il 5 giugno dell’89 o di un Mohamed Bouazizi a Ben Arous il 17 Dicembre del 2010 : lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, Premio Nobel della letteratura, pochi giorni fa ha dichiarato che “il mondo è pieno di eroi che ignorano di esserlo“. Si tratta del protagonismo discreto però efficace di ogni persona, di ogni famiglia, di ogni comunità, alla costruzione della società civile. La politica è un fattore essenziale però non unico in questo processo. Ai dirigenti politici che pensano che il tutto si incarni nello Stato e pretendono arrivare al Governo per appropriarsi dello Stato stesso si deve imporre un cambio di mentalità. Saranno in grado di recepirlo? Capiranno la concezione del potere come servizio proclamata da Papa Francesco? Il popolo argentino, che domenica scorsa ha votato, ha da questo momento la parola.