Un paio di anni fa, ad una cena di beneficenza organizzata dalla mia scuola, l’ex capo della CIA, George Tenet, il cui figlio si era laureato da noi, disse scherzando a chi lo ascoltava, che pensava di avere le stesse difficoltà di apprendimento di suo figlio a scuola, vista la sua incapacità di trovare tracce di missili in Iraq, sulla cui esistenza invece George Bush insisteva tanto.
Senza dubbio, in questa elezione è risultato evidente quanto la credibilità dei repubblicani sia stata danneggiata senza rimedio, fino al punto da rendere impossibile, in un paese manicheo come questo, di convincere persino i cattolici che McCain aveva a cuore il loro interesse, nonostante gli sbagli del suo partito. Per la vittoria di Obama, quindi, possiamo ringraziare Bush ed i neocon, e le loro bugie per giustificare la guerra irachena.
Stamattina alle 8 (ieri per chi legge ndr), come responsabile nella mia scuola per la diffusione radiotelevisiva delle notizie quotidiane (insegno giornalismo ad un gruppo di 18 studenti e insieme conduciamo un piccolo studio Tv e una rivista mensile), approfittando del fatto che la nostra palestra è usata da sempre come seggio elettorale, ho chiesto a due giovane croniste di fare un breve servizio con una videocamera. Volevo vedere cosa stava succedendo al seggio, per poi fare una diffusione “live” in tutta la scuola. Tra i vari commenti, interessante quello di una signora residente a Northwest D.C., cioè nella zona ricca, bianca ed elitaria della città, che ha dichiarato di aver votato Obama: «Dato che ci sono tanti capi internazionali di colore e dato che il nostro è un paese che deve essere il più multiculturale possibile, io penso di fare parte della storia votando per Obama».
Ciò non stupisce, perché in questi giorni essere dalla parte della giustizia e della verità vuol dire essere contro tutto quanto viene prima (compresa la creazione e il suo ordinamento, particolarmente per quanto riguarda le questioni inerenti alla vita o il rapporto tra uomo e donna) e quindi essere contro i repubblicani. Dato questo Zeitgeist, questo “ spirito dei tempi”, avevo un certo timore di essere detestato dai miei studenti, rispondendo alle loro domande che avrei votato per McCain . È stato perciò sorprendente per me trovare molti di loro d’accordo e in particolare una mia cronista egiziano-sudanese (americana “di colore”, cioè), che in questo momento sta scrivendo una storia per il nostro giornale sulla persecuzioni dei cristiani in Iraq e su come la guerra ne sia una concausa (vi ricordate Giovanni Paolo II e la sua “avventura senza ritorno”?).
Mi spiace, ma domani non potrò condividere l’euforia di tanti per la vittoria strepitosa del 44 esimo presidente degli Stati Uniti, ma non perché il mio candidato ha perso o per risentimenti verso Obama; anzi, pregherò per lui, perché solo Dio sa quanto bisogno ne avrà, appena passata la soddisfazione di essere il primo presidente Americano “di colore”. Il fatto é che non riesco a condividere questa euforia, del tutto americana, che prende spunto dal sentimento trionfalista che possiamo farci giustizia da soli, rimediando così alla nostra storia di razzismo, e che con questo risolviamo tutto. Un’euforia che ha un’origine sentimentale, ma a me il sentimento non basta, ho bisogno di un “piu'” che c’e’ adesso, c’e’ sempre stato, e ci sarà, anche dopo la mia morte.
Questa è la ragione per cui non riesco a condividere l’illusione che l’elezione di Obama risolverà tutti i problemi americani, non li risolverà come neppure Bush è riuscito a risolverli, come essere dalla parte giusta, fra i “politically correct”, non può risolverli, come non li risolve la politica, essere
repubblicano o democratico.
Al centro di tutto rimane un problema culturale, un modo di affrontare la realtà che risponda alle esigenze del cuore, di tutti, anche di coloro che non ci credono, e a noi toccherà lottare, e soffrire, perché questo accada.