A Bruxelles stanno andando via con il cervello, ammesso e non concesso che ne abbiano uno. Dopo aver straparlato di pluralismo e libertà di informazione come valori fondanti dell’Unione, ecco che viene proposta l’istituzione di un registro obbligatorio delle organizzazioni di lobbying per contrastare la crescente influenza dei media russi in Europa. La raccomandazione è contenuta in un rapporto pubblicato lunedì dalla sede di Bruxelles del centro analitico “Martens Centre” del Consiglio dei direttori, nominato dal presidente e segretario generale del Partito popolare europeo. Già il nome – Orso travestito da pecora: le organizzazioni russe nella Ue finanziate dal governo – puzza di Guerra Fredda lontano un miglio e al suo interno si sostiene che i media russi, tra cui l’agenzia Sputnik, il canale RT e il progetto “Russia Beyond the Headlines” del quotidiano russo Rossiyskaya Gazeta, stanno acquisendo sempre più influenza tra i cittadini europei.
Sullo stesso piano dei media sono catalogate le Ong russe, per esempio, l’Istituto russo di studi strategici (Riss) e la fondazione “Russky Mir” (Mondo Russo). Ecco alcuni stralci allarmistici della prefazione: «Il loro obiettivo è incutere nell’opinione pubblica europea una visione positiva della politica russa e il rispetto delle sue notevoli ambizioni di potere… il sostegno implicito o esplicito di queste organizzazioni dovrebbe preoccupare l’Unione europea». Quindi, rendere nota la verità su quanto accade in Siria, cosa che i media europei e statunitensi hanno sistematicamente scordato di fare, visto che si sono basati unicamente sulla narrativa di Assad mostro e “ribelli moderati” buoni, sarebbe un qualcosa di cui l’Ue dovrebbe aver paura.
Denunciare la sempre maggiore aggressività della Nato nel Baltico, senza alcun apparente motivo se non la non meglio precisata “minaccia russa”, dovrebbe inquietarci. E nella migliore tradizione del buonismo senza argomenti che si arrampica sui vetri, gli autori del rapporto sostengono che la Russia diffonderebbe l’odio verso i profughi siriani attraverso i media di Stato. Peccato che non venga riportata nessuna argomentazione oggettiva a sostegno di questa tesi e, soprattutto, che se Putin sbarcasse in Siria gli farebbero ponti d’oro e un monumento, per il semplice fatto che, combattendo sul serio l’Isis, lui risolve il problema alla base, evitando che ci siano del tutto dei profughi.
E dopo la puzza di Guerra Fredda, ecco quella di massoneria e Soros-dipendenza: nel rapporto si dice infatti che «l’Ue dovrebbe rafforzare le sue attività di informazione, sostenere le associazioni “democratiche”, affinché gli europei acquisiscano la capacità di resistere alla propaganda russa». Primavera colorata in Polonia e Macedonia in arrivo, temo. Poi, il delirio assoluto. Gli autori chiedono anche una maggiore sorveglianza delle attività delle Ong russe, in particolare sui loro flussi finanziari: «Occorre intraprendere azioni legali contro le Ong e le organizzazioni che minacciano apertamente la sicurezza nazionale». Dunque, un continente che vede i suoi Stati membri accettare di essere comprati in blocco da Stati come Qatar e Arabia Saudita, principali sponsor del terrorismo internazionale, dovrebbe vedere minata la propria sicurezza da Ong e agenzie di un Paese che, finora, si è dimostrato il più risoluto nell’affrontare l’emergenza numero uno?
Gli autori del rapporto, poi, hanno promosso una serie di raccomandazioni alle autorità europee in materia di guerra mediatica: «Se i miti del Cremlino si basano sul fatto che l’Ue è il male e sui suoi fallimenti, l’obiettivo dell’Ue dovrebbe essere quello di sviluppare la sua concezione sulla base dei valori europei, sottolineando che l’Ue è una forza per cui sono importanti i diritti umani, lo stato di diritto, la libertà e l’uguaglianza». Il problema, in realtà, non è come i media russi dipingano l’Ue, ma cosa della stessa pensino gli stessi cittadini europei, ma questo è un tema troppo complesso per le menti mignon di chi ha compilato quel rapporto, il quale immagino abbia trovato ampio consenso nelle centrali della Cia in Europa, soprattutto in Germania, dove l’agenzia Usa controlla metà dei servizi segreti.
Sapete, poi, qual è la grande colpa dei media russi? Dare conto di ciò che si vorrebbe non trovasse troppa eco. Ad esempio, l’articolo pubblicato su The American Interest dal mastermind della destabilizzazione Usa, Zbignew Brzezinski, il cui titolo è già tutto un programma: Toward a Global Realignment. Nemmeno a dirlo, il riallineamento è quello degli interessi statunitensi in ambito globale e il saggio pare essere un manuale d’uso per Hillary Clinton, in caso venga eletta alla Casa Bianca. Per Zbignew Brzezinski, dopo la stagione del risveglio politico globale, tutti gli attori devono riallinearsi dietro gli Stati Uniti, unica potenza egemone. D’altronde, il vecchio polacco non è nuovo nel dettare la linea ai presidenti, visto che nel 2008 pubblicò un articolo-consiglio sul New York Times, nel quale tracciava i capisaldi di politica estera per Barack Obama, il quale, nemmeno a dirlo, li fece suoi con i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
La dottrina di Brzezinski era sempre la stessa usata contro l’Unione Sovietica dei tempi dell’invasione dell’Afghanistan: l’America comincia a barcollare e il nemico diventa arrogante? Diamogli il suo bel Vietnam e vediamo come se la cava: Al-Qaeda e Isis nacquero così, d’altronde. Poi, con il Global Political Awakening, Brzezinski e Obama prepararono un altro bel Vietman: questa volta all’Europa. Partì infatti la stagione delle “rivoluzioni colorate”, dovunque possibile: furono le “primavere arabe”, i colpi di Stato eterodiretti (incluso quello di Kiev del 2014, fino a quello di Ankara del 2016), il terrorismo diffuso, capillare e organizzato con cui abbiamo tragicamente a che fare in questi giorni, le migrazioni di massa che si sono riversate sull’Europa, l’uso massiccio dei “metadata” accompagnato e integrato da quello dei social network, tutti monopolisticamente in mano agli Stati Uniti. In sostanza, l’applicazione della teoria del caos. E l’Europa ora ne sta vedendo e pagando i risultati.
E se l’esperimento è riuscito in Europa, di fatto ritenuta già soggiogata agli interessi Usa da Zbignew Brzezinski, il problema restano Russia e Cina. E più passa il tempo, più questi due Paesi appaiono in condizione di «creare improvvisamente le condizioni di rendere l’America militarmente inferiore». Quale delle due scegliere come partner tattico? Qui Brzezinski perde la sua lucidità e oscilla incerto. La leadership americana, scrive, deve «contenere entrambi», ma puntare a eliminare uno dei due. E il più probabile candidato «al momento è la Russia». Insomma, in America, uno dei consiglieri più ascoltati parla apertamente di guerra. E non più quella a bassa intensità del terrorismo diffuso o quella dei golpe a orologeria, si parla di guerra nel senso convenzionale del termine.
E qualcosa si sta già muovendo, nel silenzio dei media occidentali, quelli che dovrebbero contrastare la propaganda velenosa di Mosca. Nonostante gli avvertimenti di Putin e Assad, infatti, uno schieramento senza precedenti si sta radunando nel nord dell’Arabia Saudita, vicino ai confini con la Siria, per quella che i media chiamano “esercitazione militare”, in gergo North Thunder. Parliamo di 350mila soldati, provenienti da almeno 21 paesi arabi, che hanno firmato un patto lo scorso dicembre per «combattere il terrorismo», tra cui quelli che si affacciano sul Golfo Persico, l’Egitto, il Sudan e il Pakistan. Le loro truppe stanno per radunarsi nell’area saudita di Hafer al-Batin, dove dovrebbero aggiungersi qualcosa come 2.540 aerei da guerra, 20mila carro armati e 460 elicotteri, il tutto in seno a una 18 giorni di manovre continuative che non ha precedenti nella storia. E tutto questo non piace, né a Damasco, né a Mosca.
Il primo ministro russo, Dmitry Medvedev, parlando con il quotidiano tedesco Handelsblatt, ha così commentato le esercitazioni programmate dall’Arabia Saudita: «Tutte le parti devono obbligarsi a sedere al tavolo dei negoziati, invece di scatenare un’altra guerra sulla Terra. Qualunque tipo di operazioni di terra – è una regola – porta a una guerra permanente. Guardate cosa è successo in Afghanistan e in molte altre zone. E non sto nemmeno a parlarvi della povera Libia. Gli americani e i nostri partner arabi devono pensarci bene: vogliono davvero una guerra permanente? Pensano sul serio che potrebbero vincerla rapidamente? È impossibile, specialmente nel mondo arabo, dove tutti combattono contro tutti». Ryad, di fatto scaricata dagli Usa, vorrà tentare il colpo di teatro per recuperare l’egemonia nella sfera sunnita, ora che la Turchia sembra riavvicinarsi a grandi passi proprio verso Mosca?
Una cosa è certa, al netto della propaganda: la parola guerra, nel senso più terribile del termine, è tornata nel vocabolario dell’Occidente. E con la tensione che ogni giorno sale sempre di più, basta davvero un fiammifero per far divampare un incendio senza precedenti. Lo stesso incendio che è nei programmi di Zbignew Brzezinski e di cui nessuno, in Europa, parla.