«Con Mario Monti l’Italia è partita a razzo»: un endorsement così, probabilmente, non se lo aspettava neppure lui. O, forse, sì. Dopo il colloquio di fronte al caminetto della Studio Ovale, il nostro premier ha provato a liquidare gli apprezzamenti ricevuti con un semplice: «con Obama il rapporto umano è così facile…»; difficile, tuttavia, credere che le ragioni di un simile appoggio possano esaurirsi nella spontaneità del presidente americano. Tanto più che, a Berlusconi, aveva sempre riservato ben altri atteggiamenti e ben più tiepide accoglienze. Abbiamo chiesto a Vittorio Emanuele Parsi, editorialista e docente di Relazioni internazionali nell’Università Cattolica di Milano, che significato dare all’incontro di ieri alla Casa Bianca.
Sulla base di cosa Obama si è detto convinto che Monti sia l’uomo giusto per trascinare l’Italia fuori dalla tempesta?
Sulla base, anzitutto, della discontinuità con il passato in termini di stile e delle misure annunciate e intraprese. Vi è, inoltre, l’impressione positiva suscitata dai suoi trascorsi europei.
Obama afferma che i rapporti con l’Italia non sono mai stati migliori. Eppure Berlusconi, il primo marzo 2006 fu invitato a parlare di fronte al Congresso americano; in precedenza, tale privilegio fu riservato solo a De Gasperi, Andreotti e Craxi.
Credo dipenda dalla preferenza personale di Obama, che non ha mai nascosto di avere alcuni disagi con Berlusconi. Anche se, dal punto di vista istituzionale, ha sempre mantenuto rapporti più che cordiali. Del resto, l’Italia è amica degli Stati Uniti da sempre. Nella lunga storia di relazioni tra i due Paesi, la seconda guerra Mondiale, se vogliamo, ha rappresentato un incidente isolato.
In che misura i ruoli svolti da Monti in sede europea hanno inciso sull’opinione di Obama?
L’appoggio a Monti in questa chiave è legato alla preoccupazione sincera degli Stati Uniti di assistere al crollo dell’euro. D’altronde, gli americani guardano l’Europa e vedono un presidente francese che rischia di non essere rieletto, e una cancelliera tedesca che non si sta dimostrando all’altezza delle aspettative americane; specie di quanti chiedono eurobond, fondi di stabilità e un impegno per la crescita, e non solo per la stabilizzazione.
Perché, da questo punto di vista, Monti sarebbe l’uomo giusto?
Per il suo passato di commissario europeo e di tecnico, si considera che conosca a fondo i meccanismi di funzionamento dell’Ue, e che sappia, quindi, coniugare l’obiettivo del rigore con quello della crescita. Gli stessi Merkel e Sarkozy lo considerano un interlocutore privilegiato.
Crede che l’appoggio di Obama possa essere dettato da ragioni elettorali?
E’ probabile che sia un tentativo di captatio benevolentiæ nei confronti della comunità italo-americana. Che, tradizionalmente, vota democratico. Ma che, altrettanto tradizionalmente, è cattolica. Obama ha preso talvolta posizioni di forte attrito nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche, in grado di alienargli parte dell’elettorato americano più tradizionalista. Per gli italo-americani avere, quindi, un presidente italiano apprezzato e che ottenga la copertina del Time, sotto una luce ben diversa dal predecessore, può non essere indifferente.
La presenza di Monti in Italia potrebbe giovare economicamente agli Usa, al di là del suo contributo alla stabilizzazione dell’euro?
Questo mi sembra sufficiente. Qualora, inoltre, le liberalizzazioni, o la normalizzazione dei tempi delle nostra giustizia dovessero aprire il mercato italiano ad una maggiore interpenetrazione internazionale, l’economia italiana si sprovincializzerebbe; e gli Usa avrebbero più convenienza ad operare con noi in joint-venture.
Come l’affare Chrysler-Fiat?
Esatto, è stata un’operazione sulla quale Obama si è speso moltissimo e che ha portato l’economia italiana ad una dimensione, rispetto al passato, molto meno lontana, nella percezione, di quella americana. C’è chiaramente una convergenza di interessi tra le grandi economie capitaliste occidentali, specie nel cooperare per far fronte alle economie emergenti.
(Paolo Nessi)