La Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento Europeo sta esaminando il noto progetto di regolamento “sul rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membri che si trovano o rischiano di trovarsi in gravi difficoltà per quanto riguarda la loro stabilità finanziaria nella zona euro” presentata l’anno scorso dalla Commissione dell’Ue allo stesso Parlamento e al Consiglio. Già in precedenza approvato da altre commissioni, il progetto continua comunque il suo cammino verso l’approvazione definitiva.
In sede parlamentare la proposta, cui lo scorso 7 marzo la Banca centrale europea aveva dato parere favorevole, ha subito numerosi emendamenti. Uno dei più rilevanti da ogni punto di vista è quello con cui si introduce ex novo un articolo, il 10bis, “Assoggettamento di uno Stato membro a tutela giuridica”. A norma del suo comma 1 se uno Stato membro “è a rischio durevole di default o di sospensione dei pagamenti, la Commissione può, dopo aver consultato il Consiglio, adottare una decisione che pone lo Stato membro sotto tutela giuridica. Il Consiglio può, entro 10 giorni dall’adozione di tale decisione, abrogarla deliberando a maggioranza semplice”.
Tra gli effetti di tale “tutela giuridica” c’è l’obbligo dei creditori, pena in caso contrario la perdita ipso facto dei loro crediti, di manifestarsi “presso la Commissione entro due mesi dalla pubblicazione della decisione che pone lo Stato membro interessato sotto tutela giuridica nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea”; e l’obbligo dello Stato sotto tutela di presentare per approvazione alla Commissione un piano di rientro dal debito. Dando poi un inatteso esempio di umorismo involontario l’articolo si conclude con un comma 3 ove si sancisce che “Il presente articolo si applica a decorrere dal 2017”.
Che ci si possa mettere seriamente a discutere su norme destinate ad entrare in vigore fra oltre quattro anni in una situazione come quella in cui viviamo, in cui le cose cambiano (e spesso in peggio) da una settimana all’altra, non può che far ridere, o anche ohimè piangere. Al di là di questo tuttavia l’episodio merita di venire attentamente considerato poiché è un’ulteriore preoccupante conferma della deriva neo-autoritaria delle istituzioni europee. L’Ue è un’unione di Stati sovrani di cui la Commissione, non a caso così chiamata, sarebbe per l’appunto una semplice commissione esecutiva. Se però passerà l’art. 10 bis di tale progetto questo organismo esecutivo, che non ha alcuna reale legittimazione democratica, potrà addirittura porre sotto tutela uno Stato membro.
Ancora una volta, come spesso accade nella storia, forti poteri costituiti prendono spunto da un’urgenza immediata per introdurre modifiche dello status quo le cui conseguenze negative di lungo periodo sono ben più gravi dei vantaggi immediati cui con ciò si dice di voler puntare. Per soprammercato nel caso in questione più che mai dei vantaggi presunti. Speriamo che al Parlamento europeo qualcuno se ne accorga. Ci si trova qui di nuovo di fronte alla scelta fondamentale che sia in Europa che altrove si pone di fronte alle difficoltà presenti: se affrontarle nel nome e col metodo della fiducia, della libertà, della responsabilità e quindi della sussidiarietà; oppure nel nome e col metodo della tecnocrazia e dello sviluppo continuo di controlli sempre più centralizzati (e in fin dei conti sempre più inefficaci). Sarebbe bello che un Parlamento come quello europeo, unica istituzione democratica dell’Unione, sollevasse almeno ogni tanto questioni di questa ampiezza e questo livello invece di rincorrere i tecnocrati della Commissione là dove essi decidono di andare.