MANAGUA — Sabato 28 aprile migliaia di nicaraguensi provenienti da tutto il Paese hanno assistito al Pellegrinaggio per la Pace organizzato dalla Chiesa cattolica, nella cattedrale di Managua. Contadini, universitari e rappresentanti della società civile hanno percorso centinaia di chilometri per chiedere giustizia dopo il caos generato dalle repressioni del governo di Daniel Ortega, che, secondo dati di organizzazioni internazionali quali Human Rights Watch e la Croce Rossa Nicaraguense, hanno causato più di 34 morti e 435 feriti, per la maggioranza giovani universitari e un giornalista.
Lo scorso 18 aprile sono cominciate le proteste del popolo nicaraguense contro la riforma della previdenza sociale decisa dal governo del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale (Fsln), che ha scatenato una ribellione cittadina senza precedenti contro il comandante Daniel Ortega, uno dei leader della rivoluzione sandinista, che nel 1979 depose il dittatore Anastasio Somoza. Eletto poi presidente nel 1984, è tornato al potere nel 2006 e poi nel 2011 finché nel 2014 con una riforma costituzionale ha abolito i limiti al numero di mandati presidenziali facendo in modo di essere rieletto nel 2016, e nominando la moglie Rosario Murillo come vicepresidente.
Cose non nuove per il Centro America, dove lo scorso novembre 2017, nel vicina Honduras, il presidente Juan Orlando Hernandez si è ricandidato alle elezioni nonostante una disposizione costituzionale lo vietasse, e dopo elezioni fraudolente si è dichiarato presidente reprimendo duramente le proteste del popolo honduregno che ancora non riesce a rialzarsi dalla pesante crisi post-elettorale che ha vissuto.
L’ Alto Commissionato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (Ohchr) ha espresso costernazione per la violenta risposta delle forze dell’ordine nicaraguensi alle proteste contro la riforma della previdenza sociale e ha chiesto alle autorità del Nicaragua che siano rispettate le libertà fondamentali di espressione e riunione pacifica, in un comunicato emesso la settimana scorsa. “L’alto numero di morti di manifestanti è un chiaro indice di un uso eccessivo della forza, contro i principi di necessità e proporzionalità, requisiti essenziali previsti da leggi e norme internazionali per poter far uso legale della forza”. “Questo qualificherebbe le morti come esecuzioni stragiudiziali illegali e lo Stato incorrerebbe in responsabilità per atti contrari al diritto internazionale” prosegue il comunicato.
Dopo 5 giorni di scontri, il presidente Ortega ha parlato al popolo senza accennare minimamente alle repressioni dei manifestanti e alle morti violente, la maggioranza causate dalle forze dell’ordine nicaraguensi.
Il 22 aprile Ortega si è presentato davanti al paese per la seconda volta. Il giorno prima aveva affermato che le sue uniche controparti in una trattativa per trovare una via d’uscita dalla crisi erano le aziende. Gli imprenditori, però, hanno respinto l’invito chiedendo la fine della repressione. Lo stesso giorno ha comunicato la revoca del decreto accusando i manifestanti di avere legami con il narcotraffico e paragonandoli alle gangs che flagellano il Triangolo Nord del Centro America (Honduras, Guatemala, El Salvador).
Nonostante qualsiasi protesta del popolo sia repressa con forza e in violazione dei diritti umani, il popolo centroamericano comincia a ribellarsi e a farsi sentire.