La Cnn è ancora alle prese, assieme al resto del mondo giornalistico e mediatico, con ciò che è accaduto l’altro ieri non a Parigi ma a San Bernardino, in California. Subito il presidente e la candidata presidenziale Hillary Clinton sono apparsi in pubblico, ancora prima di conoscere i dettagli fino in fondo, dicendo giustamente la loro sul grande dibattito politico e sociale negli Stati Uniti sulle armi, e ripetendo che è il paese più armato del mondo occidentale. E qualcuno ha già scritto un primo titolo: “Domestic Terrorism”.
Si sa che sono 14 i morti, 17 i feriti di un centro di accoglienza per i disabili mentre festeggiavano l’avvento del Natale. Si sa anche che due inseguiti e armati, un uomo e una donna, sono stati raggiunti tra i giardini delle case di questa città sotto assedio anche lei, come Parigi, e che sono stati uccisi. Si è cercata una bomba. Sorgono i nomi dei due uccisi nel Suv nero, e sono nomi arabi. Syed Farook e sua moglie Tashfeen Malik.
Caos, incertezza e terrore. Terrore domestico? Perché precipitosamente parte la voce dalla Casa Bianca sulle armi? Perché non dire prima qualcosa magari sull’angoscia di questo paese che non cessa di vedere sangue sparso tra i bambini, i malati e gli innocenti com’è appena successo a Parigi? Perché non costruire un’effettiva, e ancora mancante, solidarietà mondiale sulle stragi che si susseguono ormai ovunque senza tregua?
Oggi forse non ci sarà più il dubbio se si tratti di un atto folle di un singolo che scatena la sua rabbia e disperazione perché altri muoiano con lui e come lui, ma che si tratti forse di ciò che più si teme: una strategia di guerra contro una civiltà diversa, da colpire con incessanti manovre pianificate e studiate per creare il panico continuo, soprattutto in questo periodo di festeggiamenti che alcuni vedono come pagani e degradati e altri come riti religiosi che ci raccolgono per ricordare le nostre radici e chi siamo. Tutte queste sono le nostre radici, la nostra identità, la nostra libertà. E su tutto questo dovranno interrogarsi non solo i governanti europei ma anche (è ormai flagrantemente chiaro) anche coloro che, nelle campagne elettorali in corso, si preparano a governare gli Stati Uniti.