È fresca di giornata la notizia che nessun cimitero nell’area urbana di Boston e Cambridge – e probabilmente nessun cimitero nell’intero Stato del Massachusetts – è disposto ad accettare il corpo di Tamerlan Tsarnaev, uno dei due fratelli accusati dell’attacco alla maratona di Boston, morto in uno scontro a fuoco con la polizia.
Un uomo di Worcester ha persino lanciato una campagna di raccolta fondi per spedire il corpo in Russia, sebbene la famiglia abbia chiesto espressamente la sepoltura a Cambridge, dove Tamerlan ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita.
Aveva ragione Marx quando scriveva che tutto nella storia accade due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa. Più di duemila e cinquecento anni fa Sofocle donò al mondo Antigone, tragedia in cui la protagonista sfida la proibizione imposta dal nuovo re di Tebe, lo zio Creonte, e si reca a seppellire il corpo del fratello, reo di aver attentato alla ritrovata pace della città e per questo condannato dal sovrano ad essere lasciato in pasto agli uccelli selvatici.
Antigone viene scoperta e gettata in una grotta dove dovrà rimanere reclusa a vita. Il resto della vicenda è noto: il vecchio Tiresia informa Creonte che gli dei sono indignati per la violazione di quella legge eterna, non scritta, che prescrive il rispetto dei morti.
Quando Creonte si affretta per riparare il danno ed evitare la furia delle Erinni è troppo tardi: Antigone si è tolta la vita e poco dopo morirà con lei anche il figlio dello stesso Creonte, cui Antigone era promessa in sposa.
La storia di Antigone è una delle narrazioni fondative della civiltà occidentale.
Il suo sacrificio è un monito: il prosperare della polis non si fonda solamente sulle leggi fuggevoli degli uomini; prima di tutto occorre che i cittadini osservino le leggi eterne che custodiscono il passaggio dalla mera vita ferina all’esistenza sociale del genere umano.
Ugo Foscolo sintetizzava così: Dal dí che nozze e tribunali ed are
Diero alle umane belve esser pietose
Di se stesse e d’ altrui, toglieano i vivi
All’ etere maligno ed alle fere
I miserandi avanzi che Natura
Con veci eterne a sensi altri destina.
(Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, 1807)
Duemila e cinquecento anni dopo Antigone, i “miserandi avanzi” di Tamerlan Tsarnaev sono respinti dai cimiteri di quella che è ancora la nazione più prospera e avanzata dell’Occidente.
La motivazione ufficiale è che, essendo i cimiteri privati, la sepoltura del presunto terrorista farebbe indignare i parenti di chi già vi giace e crollare le vendite di lotti di terra per le future sepolture. Non sia mai che le ossa di nonna giacciano accanto a quelle di un simile mostro!
E se un frammento della cara vecchina finisse per incontrare tête-à-tête un frammento di quel farabutto nella pancia di qualche verme? Che orrore!
Scuse ufficiali a parte, non è difficile immedesimarsi in questa forma di manicheismo, spinto ai limiti della bestialità. Il rischio costante della pur giusta lotta incondizionata contro il terrorismo è l’insidiarsi di un sentimento da “umane belve,” per cui il nemico e’ completamente de-umanizzato e lo zelo per quello che Sofocle chiamava le leggi della città obnubila le più elementari evidenze guadagnate agli albori del genere umano, le ‘leggi non scritte.’
A che gioverà vincere la guerra contro il terrorismo (che mi auguro vinceremo) se il giorno della vittoria ci vedrà regrediti ad uno stato pre-umano, incapaci di provare rispetto persino per i resti del nemico e ritornati al di qua di soglie di civiltà varcate secoli e secoli or sono?
Episodi come questo interrogano sull’acuta “emergenza uomo” dei nostri tempi, che affronteremo al Meeting di Rimini di quest’estate. L’emergenza non si registra soltanto sul fronte dell’oltre-uomo, cioè di quelle inaudite possibilità bio- tecnologiche che sembrano aprire al superamento di quello che tradizionalmente abbiamo inteso con il termine ‘uomo,’ ma è altrettanto impellente su quello che potremmo chiamare il fronte del pre-uomo.
Le pressioni socio-politiche e il venir meno della tradizione spalancano potenziali voragini per uno scivolamento al di qua della soglia umana, dove non esistono nozze, tribunali ed are ma soltanto la bestialità dell’istinto di sopravvivenza.
A metà del diciannovesimo secolo Nietzsche profetizzava che l’uomo non è che un cavo teso tra la bestia e il superuomo. Non immaginava forse che le due estremità del cavo invisibili ad occhio nudo, là dove la tensione si allenta ed esso si perde nel buio, potessero essere in realtà annodate in maniera inestricabile.