Nuovo martedì, altra tornata elettorale. Cambiano gli Stati, ma sono ancora loro due, Hillary l’impagliata e Donald dalla bocca larga, a dar fiato alle trombe per dire agli altri, “vi arrendete?”. È stata una settimana molto animata quella che ci ha portati a questo nuovo Super Tuesday, a tratti persino violenta. L’establishment repubblicano ce l’ha messa tutta per riprendere in mano le redini di questa battaglia elettorale. Tanto per darvi un’idea, solo nella giornata di ieri sono transitati per le reti televisive degli Stati di turno oltre 4000 “anti-Trump ads”, quattromila passaggi di pubblicità negativa, spesso denigratoria. E la violenza attorno al candidato meno ortodosso non è stata solo verbale.
Avrete probabilmente letto del comizio di Chicago chiuso prima ancora di cominciare per la preponderante presenza di protesters democratici il cui unico obiettivo – centrato – era di impedire a Trump di parlare. Ma nonostante tutto questo, e forse sarebbe meglio dire anche a causa di tutto questo, Trump sembra resuscitare i morti portandoli ai seggi. Non sono solo i repubblicani per vocazione a votarlo; sono persone nuove alla politica, altre che avevano smesso di votare da secoli e anche democratici stanchi del solito tran tran o timorosi di una possibile quanto improbabile svolta socialista.
Così arriviamo ai risultati di quest’oggi: Rubio, polverizzato da Donald nella sua Florida, ammaina la bandiera; Kasich trionfa nel suo Ohio, ma solo lui pensa di avere ancora qualcosa da dire in queste primarie; Cruz riesce a ingaggiare un combattimento serio (il risultato finale l’avremo solo in mattinata) esclusivamente in Missouri, ma continua a proclamarsi come l’unica possibile alternativa a Donald Trump. Il bottino odierno di Trump con Florida, Illinois, North Carolina, è ricchissimo, ma potrebbe non bastare.
L’ostilità del partito può ancora aggrapparsi ai complessi meccanismi di assegnazione dei delegati. Trump potrebbe arrivare alla Convention Repubblicana senza i numeri necessari a chiudere la partita zittendo tutti. Problema che, voltandoci a guardare l’altro fronte, la Clinton non dovrebbe proprio avere. Sanders è stato tritato (ovunque tranne che in Missouri). Il partito è riuscito a farne carne da hamburger. Adesso sta a Bernie decidere se andarsene spontaneamente in frigorifero o saltare sulla griglia delle primarie che rimangono. In ogni caso è “asfaltato” lungo la strada che porta Hillary alla nomination.
La Clinton ha sudato freddo, ha toccato con mano la sua incapacità di sembrare vera (almeno “sembrare”!), di voler bene e di farsene volere, ma ha trovato sostegno, voce, e risorse nel suo partito. L’opposto di Trump che continua imperterrito col suo “più me ne dicono contro, più la gente mi vota”. A lui non interessa proprio il suo partito: gli interessa solo il partito suo.