L’offensiva dell’esercito siriano sui sobborghi di Ghouta Est (Damasco) è cruenta. Ma le cause vanno al di là del conflitto: il numero di vittime procurate dall’offensiva governativa è favorito dai gruppi jihadisti che impediscono la fuoriuscita di civili dall’area. Non si tratta di una supposizione: in proposito, esiste una vasta documentazione sulle vessazioni inflitte dalle milizie anti-Assad alla popolazione, nonché della consuetudine — messa in atto anche durante la liberazione di Aleppo — di usare civili come scudi umani (anche tramite l’utilizzo di gabbie mobili).
Inoltre, nel guardare la cronaca attuale, bisogna tenere a mente che milizie che occupano l’enclave — capeggiate da Tahrir al Sham (al Qaeda) — hanno ripetutamente infranto l’accordo che conferisce alla zona lo status di area di “de-escalation”.
Lo stillicidio di vittime è subìto anche da parte governativa: solo venerdì scorso sono stati colpiti diversi quartieri di Damasco. Non è stato risparmiato neanche l’ospedale centrale, dove è stato distrutto il reparto di terapia intensiva. Si tratta di dati noti: è dall’estate del 2012 che i militanti islamici, schierati nei sobborghi della città, colpiscono le zone residenziali centrali: da Est Ghouta finora Tahrir al Sham e le milizie alleate hanno lanciato 2.700 ordigni che hanno ucciso più di mille civili.
Tuttavia, sembra che questi dati siano “non pervenuti” nelle redazioni dei grandi media generalisti, pagine “mancanti” pure nei vari report della coalizione anti-Assad capeggiata dagli Stati Uniti. In quest’ultimo caso, a dare continuamente manifestazione di memoria corta è la rappresentante Usa all’Onu Nikky Haley. In una delle sue celebri requisitorie, venerdì scorso ha avvisato che se perdureranno le “brutalità di Damasco” verso la popolazione civile non è escluso che gli Usa colpiranno: “Una soluzione militare non è esclusa in qualsiasi situazione. Non vogliamo essere al centro del conflitto siriano, ma vogliamo fare tutto il possibile per proteggere le persone dalle armi chimiche”.
Si tratta solo di un campionario del tipo di diplomazia messa in atto da parte occidentale, tutta incentrata sull’aggressività e sulla menzogna. Questa linea è del tutto immotivata, visto che l’accusa principale che l’occidente continua a rivolgere a Damasco — quella delle armi chimiche — è stata negata per stessa ammissione del Pentagono (vedi Associated Press).
E’ chiaro se le preoccupazioni di proteggere le persone fossero sincere, la coalizione occidentale dovrebbe fare innanzitutto autocritica verso sé stessa: è acclarato che l’operazione militare guidata dagli Usa per la liberazione di Mosul e Raqqa fu almeno altrettanto pesante rispetto a quella effettuata dall’esercito siriano a Ghouta Est.
Ma misurare la responsabilità occidentale in termini di “numero di vittime del conflitto” è ancora fuorviante: bisogna fare almeno una piccola nota sulla responsabilità del conflitto. In tema, è chiarificatore sapere che per il finanziamento dei gruppi jihadisti e per le attività connesse al “regime change” (ivi compreso il sostegno all’Isis), gli Usa hanno speso 12 miliardi di dollari nei quattro anni dal 2014 al 2017. Si tratta di dati certi, rivelati il 6 febbraio 2018 dall’ex ambasciatore americano Robert Ford durante un’audizione della commissione Affari esteri della Camera).
Non meno pesante è il coinvolgimento degli altri stati. In proposito, è interessante conoscere alcuni dati rivelati dalla Bbc che certificano anche il coinvolgimento della Gran Bretagna nell’opera di sostegno ai terroristi islamici. Mi riferisco allo scandalo scoppiato a dicembre sui finanziamenti diretti ad al Qaeda portati alla luce dal documentario della Bbc dal titolo “Jihadis You Pay For” (andato in onda il 4 dicembre 2017). Si tratta di fatti che — come ha detto Kate Osamor, portavoce dei programmi di “sviluppo internazionale laburista” — “costituiscono solo la punta dell’iceberg”.
A fronte di queste evidenze, ci sarebbe materia legale non solo per interrompere immediatamente ogni ostilità ma anche per la condanna formale da parte dell’Onu di tutti i paesi coinvolti. Ma così non avviene. Invece, accade che le accuse contro il governo siriano continuano a fioccare, tacendo la violazione sistematica del diritto internazionale, che si esplica attraverso un’opera di destabilizzazione permanente, il favoreggiamento dei terroristi, la sottrazione delle risorse al nord della Siria, la partizione e l’occupazione della Siria. In sostanza, chi grida “al fuoco” continua ad alimentarlo attraverso l’illegale negazione del diritto di uno Stato di difendersi quando è esposto ad aggressioni internazionali (cf. Sezione 51 della Dichiarazione delle Nazioni Unite).
Nel caso di Ghouta Est (come nelle altre situazioni simili in tutta la Siria), è evidente che la creazione di “enclave” sul territorio di uno stato sovrano — che poi si auto-definiscono “assediate” — è una contraddizione in termini. Inutile dire che lo è anche la creazione di false organizzazioni umanitarie con chiari fini propagandistici che usano propri “media center” per amplificare campagne con fini squisitamente politici connessi alla politica degli “insorti”.
Per la coalizione internazionale è quindi una scelta lucida: la pietà per la popolazione civile è solo il “pretesto utile” da sfoderare quando si presta a potenziare le accuse di “disumanità” alla parte antagonista.
Francia e Germania hanno intrapreso una mediazione con la Russia per un tentativo di cessate il fuoco, che va incontro agli emendamenti al testo iniziale, irricevibile per la Russia perché unilaterale. L’obiettivo è un cessate il fuoco di 30 giorni su tutta la Siria ed in particolare a Damasco. Durante la tregua sarebbero predisposti aiuti per la popolazione di Ghouta Est, distribuzioni di viveri e medicinali, trasferimento dei feriti al di fuori dell’enclave.
Ieri la risoluzione è stata approvata, vedremo nelle prossime ore se sarà rispettata da tutte le parti, anche dalle milizie jihadiste.