Una situazione degenerata e che ha preso i contorni di un’estenuante lunghissima trattativa che sembra non finire mai. L’inviato speciale dell’Onu, Kofi Annan è tornato a parlare della Siria, la cui situazione umanitaria si deteriora di giorno in giorno. I numeri parlano chiaro. Più di un milione e mezzo di siriani necessita di assistenza. “Più tempo aspettiamo, più il futuro della Siria sarà nero”, ammonisce l’inviato speciale dell’Onu e della Lega Araba, che non lesina critiche alle iniziative di alcuni governi, che “stanno mettendo in pericolo il processo di pace rischiando di scatenare una lotta distruttiva nel Paese”. Secondo Annan c’è la necessità di coinvolgere tutti gli attori possibili per arrivare a una soluzione del conflitto, Iran compreso. Per l’ex segretario generale dell’Onu, infatti, anche Teheran deve fare parte di quel gruppo di Paesi chiamati a lavorare per una soluzione della crisi in Siria. “Stiamo discutendo- puntualizza ancora Annan- per organizzare una conferenza in Svizzera, a fine giugno”. IlSussidiario.net ha chiesto un parere ad Antonello Folco Biagini, Professore ordinario di Storia dell’Europa Orientale presso La Sapienza di Roma.
Professore, pensa che l’appello di Annan per il coinvolgimento dell’Iran nella questione siriana rappresenti una valida alternativa alle strategie fallimentari sperimentate sino ad ora?
Non mi sembra che si possa andare molto lontano con un paese che è considerato “pericoloso” dalla comunità internazionale. In realtà, nessuno ha interesse a far cadere la Siria, in primis l’Iran, e le “primavere arabe” che hanno spodestato i regimi mediorientali lo hanno dimostrato. Le recenti elezioni di democratico hanno molto poco: ad esempio, i risultati in Egitto non hanno soddisfatto certe posizioni ed aspettative internazionali. Lo stesso discorso varrebbe per la Siria. E’ giusto andare alla ricerca di soluzioni diplomatiche ma coinvolgendo l’Iran sarebbe come allargare il potere di Ahmadinejad su un’altra area e questo spiega anche l’atteggiamento di Ankara, che è ostile. Quest’ultima ipotesi non potrebbe che acuire i contrasti fra i due paesi. La Turchia non potrebbe mai vedere di buon occhio l’allargamento della sfera di influenza dell’Iran, nei confronti del quale l’intera comunità internazionale ha ancora forti perplessità.
Dall’altra parte, Putin, nonostante le pressioni americane, continua a vendere armi a Damasco e a non intervenire su Assad perchè lasci. Un’altra strategia messa in atto, questa volta dal presidente Barak Obama, che si è dimostrata fallimentare.
Sin dall’inizio uno degli obiettivi di Putin era quello di riproporre una Russia più compatta e più coesa e pur non potendo aspirare a quel ruolo di una seconda potenza mondiale, come era stata l’Unione Sovietica, aveva in mente però di rimettere la Russia al centro della politica internazionale. E possiamo dire che è riuscito nell’intento: non solo per il boom economico dovuto alla vendita di materie prime, soprattutto di gas, ma anche sul piano politico dove notiamo questo atteggiamento di protagonismo e di chi non intende andare a rimorchio delle decisioni altrui. Tutto questo provoca un certo anti-americanismo, un alzare leggermente i toni per marcare le differenze. Già nei Balcani abbiamo visto la volontà russa di distinguersi dagli altri attori. Obama l’ha capito e tenta il coinvolgimento di Mosca, ma evidentemente Putin da questo orecchio non ci sente.
Se l’Onu, come sembra, non fosse intenzionato per ora ad intervenire militarmente, le sembra plausibile la formazione di una coalizione militare simile a quella messa in atto da Clinton per il Kosovo?
Non credo sia possibile: i tempi sono cambiati, ma non in meglio. Intanto, è in atto una grande crisi economica a livello mondiale. Secondo, a breve negli Stati Uniti si terranno le elezioni presidenziali e non credo che né Obama né il suo avversario, Mitt Romney, puntino a incentrare una campagna elettorale sull’ipotesi di una guerra. Oltretutto, una delle ragioni che ha conferito la vittoria a Obama è proprio l’aver promesso il ritiro dall’ Afghanistan, cosa che sta mettendo in atto sebbene in tempi più lunghi del previsto. Inoltre, di mezzo c’è stato il conflitto in Iraq che ha portato più polemiche che vantaggi all’amministrazione Bush e non si è arrivati ad una soluzione valida nemmeno con l’eliminazione di Saddam. Ricordiamoci, poi, che mettere d’accordo un numero di nazioni con pluralità di intenti differenti non sarebbe affatto facile. All’epoca di Clinton, poi, la Russia era molto più debole politicamente ed era possibile forzare la mano con Mosca: oggi Putin non avvallerebbe una soluzione di questo genere. Oltretutto, dobbiamo tenere conto anche delle questioni territoriali: il Kosovo è una regione grande quanto l’Abruzzo, la Siria è decisamente più estesa.
Annan ha annunciato l’ennesima riunione internazionale in Svizzera, sebbene le precedenti abbiano dimostrato la propria inutilità. Non è un accanimento verso una strategia che ha dimostrato tutti suoi limiti?
Questo dimostra l’inefficacia delle Nazioni Unite, per le quali c’è un problema di identità e di ruolo. Quando erano state concepite dopo la Seconda Guerra Mondiale, cioè quando riprendevano i principi della Società delle Nazioni, avevano più significato di esistere. C’erano molti meno stati e allora i contrappesi e gli equilibri funzionavano sul serio. Si parla da quasi vent’anni di una riforma dell’Onu che dovrebbe risolvere il problema della numerosità dell’Assemblea e la conseguente difficoltà di far passare le decisioni. Abbiamo verificato, nel corso di questi anni, come le soluzioni adottate dalle Nazioni Unite non vadano al di là di un valore morale. Anche se coalizioni militari sono nate, sono nate per imput di un Paese, non per l’accordo dell’Assemblea .
Quale sarà il limite che farà scattare la consapevolezza che il piano Annan è fallito? Quanto si dovrà ancora aspettare perchè si concepisca un altro piano di intervento?
O la situazione si risolverà internamente, con Assad che decide di cedere e aderire alle varie proposte internazionali, dell’Onu o della Lega Araba o con, dall’altra parte, gli oppositori del Regime che abbandonano le armi, altrimenti, se le cose dovessero continuare in questo modo, l’unica alternativa rimarrebbe quella di appoggiare i ribelli.
(Federica Ghizzardi)