«Il presidente turco Erdogan ha compiuto un completo voltafaccia in politica estera perché si è reso conto che la strategia seguita finora favoriva involontariamente la creazione di un Kurdistan unitario e indipendente. L’incontro con Putin del 9 agosto non servirà a formare un asse contro lo Stato Islamico, bensì a consentire a Erdogan di contrastare con maggiore efficacia i piani dei curdi». Lo rivela il generale Fabrizio Castagnetti, ex capo di Stato maggiore dell’Esercito Italiano. Il prossimo 9 agosto il presidente russo Vladimir Putin incontrerà Erdogan a San Pietroburgo per affrontare insieme il tema della normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Nonostante l’abbattimento del jet russo Su-24 avvenuto il 24 novembre scorso, a partire da luglio i rapporti bilaterali hanno vissuto una progressiva fase di distensione.
Generale, perché questo riavvicinamento tra Russia e Turchia?
La Turchia sta approfittando del deterioramento dei rapporti con gli Stati Uniti causato dal rifiuto americano di estradare l’imam Fethullah Gulen per riavvicinarsi alla Russia. In realtà, i primi colloqui tra Russia e Turchia erano iniziati un paio di giorni prima del tentato golpe. Nello stesso tempo Ankara ha avviato un processo di pacificazione con Israele. In quella fase Erdogan era ormai completamente circondato da nemici, e si è reso conto che non poteva andare avanti così.
Che cosa ha fatto sì che Erdogan si trovasse circondato da nemici?
Erdogan ha trasformato progressivamente la Turchia da un Paese musulmano laico a uno musulmano radicale. In una prima fase ha tolto potere ai militari, anche modificando la Costituzione, e quindi ha messo in carcere l’intera leadership dell’esercito sulla base di accuse che si sono poi rivelate infondate. A ciò si è sommato l’atteggiamento a dir poco osceno e scandaloso nei confronti dell’Isis. La Turchia ha acquistato petrolio dal Califfo e lo ha appoggiato fornendogli munizioni. Tutto questo ha portato Erdogan a ritrovarsi totalmente isolato.
Come sono in questo momento i rapporti tra Stati Uniti e Turchia?
Per gli Stati Uniti, che vedono nella Russia il loro principale nemico, avere dei buoni rapporti con la Turchia è comunque fondamentale anche se Erdogan non si sta comportando come dovrebbe. Da quando Erdogan è salito al potere, la Turchia rappresenta un problema enorme. Di fronte a determinati comportamenti bisognerebbe avere anche il coraggio di dire le cose come stanno. Poiché però gli Stati Uniti vogliono tenere la Russia in un angolo, non possono denunciare le ambiguità di Erdogan in quanto hanno bisogno di lui. Quest’ultimo ne approfitta poi per incontrarsi con Putin e cercare di trarre il maggiore vantaggio politico facendo il doppio gioco con i due rivali storici, Stati Uniti e Russia.
Sono solo gli Usa che dovrebbero dire basta a Erdogan?
No, è anche l’Italia che di recente ha inviato una batteria anti-missilistica in Turchia. In quanto Paese Nato, Ankara ha detto di sentirsi minacciata e ha chiesto di essere aiutata con degli armamenti contraerei. Sarebbe stato però necessario chiedere alla Turchia chi è che la minacciava, perché risulta a tutto il mondo che sia Erdogan a minacciare altri Stati. Il nostro governo avrebbe dovuto dunque rifiutarsi di inviare la batteria, ma come sempre accade per non dispiacere agli Stati Uniti abbiamo accettato.
L’Austria ha proposto di interrompere i negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Ue. Lei che cosa ne pensa?
Per me i negoziati non dovevano neppure iniziare. La Turchia però è un Paese enorme, si trova in una posizione geografica veramente strategica e tra gli Stati Nato il suo esercito è il secondo più potente dopo quello degli Usa. Penso però che nessuno in Europa, con l’eccezione forse della Germania, avesse realmente intenzione di fare entrare Ankara. Qualora la Turchia fosse rimasto un Paese laico, l’ingresso in Europa avrebbe rappresentato un vantaggio enorme a livello mondiale, ma così non è stato.
L’Isis ha annunciato che compirà degli attentati in Russia. Quanto va presa sul serio questa minaccia?
Ritengo che questa minaccia non vada presa sul serio. Se l’Isis fosse in grado di attuarla gli attentati sarebbero già avvenuti. La Russia combatte da tempo contro il fondamentalismo islamico, a partire dalla Cecenia, e oggi continua a farlo al fianco di Bashar Assad. Di fatto l’unico grande Paese che combatte veramente Daesh è Mosca. Dunque se l’Isis fosse in grado di compiere attentati in Russia li avrebbe già realizzati da tempo, senza bisogno di queste minacce.
L’incontro Putin-Erdogan serve anche per creare un asse contro l’Isis?
Su questo avrei molti dubbi. Questo riavvicinamento si basa su considerazioni di natura strategica che noi non abbiamo saputo ancora interpretare. Erdogan ha sempre giocato un ruolo molto ambiguo verso Daesh, perché dal suo punto di vista il pericolo più grande non è il radicalismo sunnita in quanto la stessa Turchia è un Paese sunnita. Per Ankara il pericolo più grande è sempre stata la creazione di un Kurdistan basato su un ricongiungimento tra i curdi che abitano in Turchia, in Siria e in Iraq.
È per questo che Erdogan ha cambiato strategia?
Sì. Erdogan si è reso conto che con l’intervento di Putin in Siria non era più possibile la realizzazione dei suoi precedenti piani, il cui caposaldo era l’abbattimento di Assad. Il presidente turco ha capito dunque che se non avesse cambiato strategia, si sarebbe realizzato un possibile ricongiungimento tra i curdi dei tre diversi Stati. Nei piani degli Stati Uniti, l’abbattimento di Assad prelude infatti alla spartizione della Siria in più entità e alla creazione di un Kurdistan unitario. Per Erdogan questo è un pericolo mortale da evitare a tutti i costi. Il suo riavvicinamento con Putin va visto in quest’ottica, anche se poi bisognerà vedere quale sarà la vera natura di questa distensione.
(Pietro Vernizzi)