Nella sala del Congresso degli Stati Uniti, a Washington, si eleva la statua di un esile maiorcano, il beato Junípero Serra. L’edificio che meglio rappresenta l’avventura democratica del Nordamerica si onora della presenza di questo francescano evangelizzatore della California e nessuno ritiene che con ciò ne soffra la laicità consacrata dalla Costituzione. Al contrario, la memoria di uomini e donne di differenti religioni nell’edificio del Congresso, mostra perfettamente l’idea per cui ognuno con la sua identità, messa in gioco in diverse circostanze storiche, ha contribuito alla grandezza della nazione.
Non è così a Madrid. La richiesta innocente che una illustre monaca, Santa Maravillas de Jesús, fosse ricordata con una targa nel Congresso, ha suscitato un’amara e patetica polemica che ci lascia ben altra lezione. Alla base dell’idea di ricordare questa carmelitana nella sede parlamentare, vi è una serie di legami storici e famigliari. La Provvidenza ha voluto che nascesse in un edificio che attualmente è parte del complesso della Carrera de San Jerónimo (dovrà cambiare il nome della via?) sede della Camera dei Deputati, e si sa che i suoi nonni, suo padre e suo zio furono deputati, e alcuni di essi arrivarono vicini alla carica di Presidenti della Camera.
Si sa anche che la monaca non fu una monaca qualsiasi. Con un temperamento e un impulso singolari diede inizio a un’importante riforma all’interno dell’Ordine delle carmelitane scalze, fondò numerosi monasteri e svolse un importante lavoro sociale. E, come se non bastasse, Giovanni Paolo II l’ha canonizzata nel suo ultimo e indimenticabile viaggio in Spagna nel 2003.
Nonostante tutto questo, si può accettare che venga messa in discussione l’opportunità di mettere la targa al Congresso. È sostenibile che, non essendo tradizione porre questo tipo di simboli in tal luogo (esistono solo due targhe, una per Alfonso XIII e l’altra per Clara Campoamor), si debba riflettere bene su chi, e per quale ragione, si vuole ricordare. Quello che in nessun caso si può sostenere è che Maravillas non può avere la sua targa perché, essendo una monaca cattolica, si andrebbe così contro l’aconfessionalità dello Stato.
Dal portavoce Alonso, antico compagno di banco di Zapatero, non sarebbe potuta arrivare una scusa più misera e intellettualmente rachitica. Innanzitutto la sana laicità non suggerisce (come sostiene il Psoe) la mancanza di connotazioni religiose in ambito pubblico, ma al contrario uno spazio che accolga cordialmente le diverse identità culturali e religiose che hanno contribuito a forgiare la società spagnola. D’altra parte, una targa in memoria di Santa Maravillas non sarebbe mai “un simbolo religioso”, ma una memoria civile del fatto che è esistita una donna che, attraverso la sua vocazione religiosa, ha iniziato una serie di attività che hanno contribuito a plasmare il volto della società spagnola. È ridicolo che il Congresso possa ricordare un medico, un monarca, una femminista o, se fosse il caso, un domatore del circo, ma in nessun modo una monaca.
Secondo l’oscura logica dell’accigliato ex ministro Alonso, un cattolico dovrebbe disfarsi della propria fede (come se si trattasse della pelle di un rettile) per ottenere un modesto omaggio dal venerabile complesso di San Jerónimo, qualunque siano i meriti della sua vita. E questo è il punto della questione. Che l’incontenibile settarismo di questa generazione socialista è incapace di accettare che la fede cristiana dà forma al contratto civile di molti cittadini spagnoli, e che risulta una violenza intollerabile (dal punto di vista morale, ma anche giuridico) che venga esclusa in quanto tale dall’ambito pubblico.
Non è che Santa Maravillas abbia perso molto dal vano tentativo di mettere una targa a lei dedicata. È che la società spagnola, sotto l’autorità di questi laicisti illuminati, va verso la divisione e l’esclusione, fino a un impoverimento spaventoso. È questo il Psoe che Bono (il deputato socialista che ha proposto la targa) voleva rifondare sulla base dell’umanesimo cristiano?