Una nuova strage di cristiani, una nuova domenica di sangue in Africa. Dopo i numerosi attacchi avvenuti nei mesi scorsi in Nigeria, oggi due sanguinose stragi sono state compiute a Garissa, nel Kenya settentrionale. Un commando formato da uomini armati e con il volto coperto da passamontagna ha fatto irruzione nella cattedrale della città e nella chiesa appartenente alla congregazione Africa Inland Indipendent Church (Aic) mentre i fedeli erano riuniti per le celebrazioni domenicali. Sono 17 i morti accertati fino ad ora e circa 45 i feriti. Nonostante gli attacchi non siano ancora stati rivendicati, le autorità keniane puntano il dito contro le milizie islamiche di al Shabaab che operano in Somalia, distante 140 chilometri da Garissa. La Santa Sede ha fortemente condannato le stragi, facendo sapere attraverso il portavoce vaticano, Padre Federico Lombardi, che “i sanguinosi attentati in Kenya sono un fatto orribile e molto preoccupante. Sembra infatti che fra i gruppi terroristi l’attacco ai cristiani riuniti la domenica nei loro luoghi di culto diventi un metodo considerato particolarmente efficace per la diffusione dell’odio e della paura”. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Guido Olimpio, editorialista di politica estera del Corriere della Sera.
Due nuovi attacchi, questa volta in Kenya. Cosa ne pensa?
E evidente ormai da tempo che gruppi più o meno riconducibili all’ideologia qaedista hanno scelto l’Africa come terreno di scontro e come area in cui lanciare molte offensive.
Come mai?
Innanzitutto ci sono le condizioni: Somalia, Nigeria, ora anche il Kenya e tutta l’area del Sahel, sono tutti territori che per motivi politici, di sicurezza, per i confini ampi, gli scarsi controlli e una base ideologica di supporto vengono trasformati in aree dove gruppi di questo tipo possono lanciare attacchi e organizzare azioni devastanti.
Crede ci siano punti di contatto tra i gruppi che hanno agito finora in Nigeria e quelli che oggi hanno colpito in Kenya?
Il gruppo nigeriano dei Boko Haram è senza dubbio in collegamento con i qaedisti del Sahel ma anche con gruppi attivi in Somalia, come i miliziani di al Shabaab e gruppi più piccoli che sono però riconducibili a quest’area islamista che agisce tra la Somalia e il Kenya.
Come mai oggi è stato scelto il Kenya?
Sicuramente perché è anch’esso impegnato nella guerra di Somalia è ha lanciato un’offensiva. Per questo è ora obiettivo di ritorsioni.
Come mai si continuano a massacrare i cristiani?
I cristiani rappresentano innanzitutto un facile obiettivo da colpire. Inoltre questi gruppi che tentano di fare proselitismo, colpendo i cristiani vogliono far capire che stanno portando avanti una guerra di religione, una guerra etnica. In qualche modo lo abbiamo visto anche in Iraq, dove gruppi qaedisti si mettono in contrasto con il nemico più lontano, vale a dire gli occidentali, ma quando è possibile anche con il nemico più vicino, che in Iraq sono gli sciiti mentre nelle zone africane sono i cristiani.
Con quali obiettivi?
Sperando che successivamente nascano delle ritorsioni, delle rappresaglie e altra violenza. Quindi dove c’è caos, dove ci sono situazioni di instabilità i qaedisti sperano di guadagnare.
Si pensa che la responsabilità degli attacchi di oggi possa essere delle milizie islamiche di al Shabaab. Cosa può dirci?
Più avanti sarà tutto più chiaro ma possiamo dire che nell’ultimo anno la polizia keniota ha scoperto e individuato vari gruppi, anche locali, che hanno qualche collegamento al Shabaab ma non necessariamente molto stretto. E’ una storia ancora oscura in cui mancano ancora molti particolari, ma dopo alcuni arresti e il ritrovamento di esplosivo è chiaro che anche il Kenya è nel mirino.
Crede quindi che diversi gruppi siano attivi nel Paese?
Circa due mesi fa la polizia del Kenya, in collaborazione con quella inglese, era sulle tracce di una donna, cittadina inglese, sposata con uno dei kamikaze degli attentati di luglio 2005 a Londra. C’è quindi una filiera che può essere riconducibile agli Shabaab, ma non solo, che dimostra l’esistenza di diversi gruppi nel Paese, e non certo da oggi.
Padre Lombardi ha detto che “fra i gruppi terroristi l’attacco ai cristiani riuniti la domenica nei loro luoghi di culto diventi un metodo considerato particolarmente efficace per la diffusione dell’odio e della paura”. Come commenta?
E’ senza dubbio vero. Il gruppo di Boko Haram ha colpito per diverse domeniche consecutive obiettivi cristiani in Nigeria ed è chiaro che attaccare durante un momento di aggregazione come la funzione religiosa è un modo per incutere terrore e per lanciare dei messaggi devastanti. E soprattutto, come dicevo, per sperare di innescare delle risposte violente. Colpire una chiesa gremita è probabilmente la cosa più semplice per un terrorista, ma rappresenta un gesto con un alto valore simbolico. Vorrei ricordare inoltre che questi attacchi hanno una grande eco internazionale, dai messaggi di condanna e solidarietà del Papa fino alla grande mobilitazione in tutto l’Occidente: ecco quindi spiegata la doppia valenza di questi attacchi, produrre vittime da una parte e una forte risonanza dall’altra.
Gli attacchi in Nigeria sembrano ormai diventati una orribile abitudine. Oggi è toccato anche al Kenya. Cosa dobbiamo aspettarci in futuro?
Credo che purtroppo assisteremo ad altri attacchi. Dipende molto dalle autorità locali ma il terrorista è molto difficile da contrastare, soprattutto quando agisce nei confronti di obiettivi così semplici. Certo, possono essere intensificate attività di sicurezza con cui in qualche modo è possibile ridurre questa minaccia ma non è certamente facile intervenire. Da tempo i gruppi qaedisti tentano di sfondare in Africa, ma oggi lo fanno in maniera molto più violenta: credo quindi che in Paesi così ampi, in cui le misure di sicurezza non sono certo forti, dovremmo assistere ad altre azioni di questo tipo, probabilmente anche più spettacolari.
(Claudio Perlini)