Dopo anni di sotterranea penetrazione russa nei media e sui social occidentali tramite pseudo-agenzie stampa, tivù multilingua e troll sul web, l’opinione pubblica europea si è accorta finalmente che qualcosa non va e lancia l’allarme. Grazie anche a documentate ricerche come quella di Cécile Vaissié in Francia, che ha svelato le reti del Cremlino e il finanziamento a partiti antieuropei. Di qui la recente risoluzione del Parlamento europeo che denuncia a chiare lettere: “Il governo russo sta utilizzando un ampio ventaglio di strumenti… per sfidare i valori democratici e dividere l’Europa”.
Del resto il filosofo Aleksandr Dugin, padre del neo-eurasismo e ideologo di Putin, lo aveva detto a chiare lettere in televisione già nel 2013: “impegniamoci a difendere l’Europa dai gay, a salvare l’Europa da se stessa… Sotto il nostro protettorato provvederemo noi alla sua difesa”.
L’Europarlamento ha sottolineato la necessità di contrastare le campagne di disinformazione con una task force. La risposta del governo russo si colloca fra lo sprezzante e il faceto. Sprezzante quando Putin commenta che la risoluzione dell’Europarlamento è segno inequivocabile del “degrado politico della democrazia nei Paesi occidentali”.
Quanto al degrado, potrebbe avere ragione se per contrastare l’ingerenza russa l’Europa usasse la pura propaganda (come fa la Russia); se dichiarasse “agente straniero” chiunque abbia rapporti con russi (come si fa in Russia); se facesse chiudere siti e organizzazioni sgraditi (come si fa in Russia); se oppositori e giornalisti scomodi cadessero spesso vittime di misteriosi attentati.
Ma se l’Europa volesse solo denunciare le menzogne e la disinformazione col metodo dell’informazione, la democrazia non ne soffrirebbe affatto; anzi la Russia stessa avrebbe tutto da guadagnare.
Per quanto riguarda il faceto, Putin ha detto — scherzando! — a uno scolaro (cioè a nuora perché suocera intenda) che i confini della Russia “non finiscono da nessuna parte”.
Ha scherzato, non ne abbiamo dubbio. Ma non ci risulta scherzasse nel 2003 l’allora ministro della difesa, Sergej Ivanov, quando elaborò una dottrina in base alla quale “la Russia si riserva il diritto di utilizzare la forza in modo preventivo” là dove vi siano delle minacce per la vita o i beni di “compatrioti” all’estero; e per compatrioti una legge del 2010 intende i cittadini russi o i loro discendenti anche se non vivono in Russia. La storia dell’annessione della Crimea è una storia lunga. E i primi a non amare certi scherzi sono i russi.