E’ un caso politico e potrebbe condizionare la linea dell’Italia nel vertice europeo dei ministri degli Interni che comincia oggi a Innsbruck. Il rimorchiatore d’altura italiano Vos Thalassa nella notte di lunedì ha soccorso in acque Sar libiche un gommone che stava affondando non lontano dall’area di lavoro del rimorchiatore, una piattaforma Total (un dettaglio, quest’ultimo, sul quale conviene riflettere). Secondo le prime ricostruzioni, quando gli immigrati si sono accorti che stavano per essere riconsegnati a una unità libica hanno minacciato l’equipaggio e indotto il comandante a chiedere l’aiuto della nave della Marina italiana Diciotti. La Diciotti ha trasbordato i migranti e sta facendo rotta verso l’Italia, dove giungerà stamane, ma il Viminale non ha ancora assegnato il porto.
“Stanno venendo al pettine tutti i nodi del caos migranti nel Mediterraneo centrale, le torsioni e le distorsioni del diritto e le sue strumentalizzazioni” commenta Paolo Quercia, analista di politica estera e direttore del Cenass, Center for near abroad strategic studies.
Con quali conseguenze?
Ovviamente possono comportare tensioni politiche nella maggioranza. Ma a me pare che quest’ultima crisi sia di profilo più elevato. Non dimentichiamo che in questi stessi giorni l’Italia ha ripreso il mano il dossier libico con la visita del ministro degli Esteri Moavero, tentando di uscire dal claustrofobico dossier migratorio e rilanciando il rapporto politico bilaterale.
Va bene, ma dove sta il punto?
Probabilmente chi non vuole che l’Italia riprenda le fila del dossier libico, interrotto con la guerra francese del 2011, non vuole neanche che la Libia riprenda il controllo delle sue acque territoriali e che venga aiutata nella stabilizzazione e ricostruzione.
Sta dicendo che l’Italia deve guidare il fronte della ricostruzione dello Stato libico?
Sì. E lo può fare solo mettendosi dalla parte degli interessi dei libici. E probabilmente, dovrà iniziare a fare state building dal mare per poterlo fare con maggiore efficacia a terra. In questo il ruolo internazionale della Guardia costiera italiana è fondamentale.
Gli immigrati trasbordati dal Vos Thalassa sulla Diciotti devono sbarcare in Italia?
Io penso di sì. Non occorre essere duri con i migranti per essere duri con il sistema che li porta in Italia. Certo il fatto che un salvataggio di migranti in maggioranza pachistani avvenga nelle acque libiche e questi siano poi sbarcati in Italia ci dice chiaramente che l’Italia è stata candidata a diventare la Libia d’Europa. Ma questo è un processo che va fermato nei modi e nelle sedi opportune.
Cosa pensa della dinamica dei fatti che hanno riguardato il rimorchiatore italiano?
Il caso Vos Thalassa, per quanto appreso dalla stampa, puzza molto di caso anomalo. Sia perché è avvenuto tra la missione in Libia del ministro degli Esteri Moavero ed il vertice di Innsbruck dei ministri degli interni della Ue. Ma anche perché la Vos Thalassa — nave battente bandiera italiana ma che lavora con le piattaforme della francese Total nel Mediterraneo — pare che abbia fatto di tutto per intervenire, soffiando ai libici il salvataggio dei migranti nelle acque Sar libiche e poi girandoli alla nostra Guardia costiera, adducendo la motivazione di una “sommossa” a bordo. La Guardia costiera ha comunque fatto il suo dovere, ma quanto avvenuto prima del suo intervento andrebbe approfondito.
Cosa può dirci dell’operazione Sophia tornata improvvisamente sotto i riflettori? Ne avevamo dimenticato l’esistenza.
Se ne è dimenticata l’esistenza perché di fatto è una missione rimasta in fasce. Fa un po’ di sorveglianza e un po’ di salvataggio, due attività che non sono il core business delle marine militari e che difatti attraggono prevalentemente marine minori del Nord Europa. Mentre non è mai passata, né potrà farlo senza revisioni, al mandato esecutivo, quello dello smantellamento del business model dei trafficanti. Però, pur di farla partire come surrogato di Mare Nostrum vincendo le resistenze dei Paesi europei, ci siamo sottomessi ad un Oplan (piano di operazione militare) assolutamente svantaggioso per l’Italia, sia per quanto riguarda il trasporto in Italia dei migranti (qui Dublino non c’entra nulla) sia per ciò che attiene le azioni penali contro i trafficanti. Penso che sia una missione il cui mandato vada profondamente rivisto. Ovviamente non ad Innsbruck, ma a Bruxelles, dove gli Oplan vengono adottati come direttive delle missioni europee.
Moavero è stato in Libia e si è parlato sui giornali di una riedizione del patto Berlusconi-Gheddafi del 2008. Come giudica la sua missione?
La missione di Moavero è stata importante. Dà il giusto contesto politico strategico alla questione migratoria, che non può essere né affrontata né risolta in maniera isolata. Il Patto di Amicizia Italia-Libia, sepolto dalla bombe di altri Paesi “amici”, è necessario. Ma il Trattato è giuridicamente ancora valido. Inclusa la parte in cui si riconosce l’integrità territoriale della Libia, il dovere di non ingerenza negli affari interni o l’adesione della Libia ai principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Tutte questioni che sono poi anche al cuore della questione migratoria. Il Trattato può essere riattivato quando ve ne saranno le condizioni e l’Italia deve lavorare per questo. Ciò non toglie che esso può essere aggiornato alla rinnovata realtà, se i libici dovessero ritenerlo utile.
In che rapporto sono l’iniziativa in Libia di Moavero e quella di Salvini?
Io voglio credere che vi sia un necessario coordinamento tra le azioni dei due, pur nella diversità degli stili e del fatto che uno è un leader di un partito politico mentre l’altro potremo definirlo un tecnico apartitico. Non converrebbe a loro stessi fare diversamente. L’upgrade del dossier libico (e migratorio) alla dimensione della politica estera è un enorme rafforzamento per la posizione dell’Italia.
Sempre Moavero e il ministro della Difesa Elisabetta Trenta sono apparsi allineati su posizioni “non al di fuori del quadro di diritto internazionale, quindi anche europeo”. Questa linea è in conflitto con altre nel governo?
Credo che il ministro Trenta abbia comprensibilmente cercato di ribadire le sue competenze verso lo straripamento politico e mediatico di Salvini rispetto ad un missione in cui è impegnata la Marina militare. Ricordiamo però che Salvini è anche vicepremier. Per cercare eventuali fratture sul tema nell’esecutivo, farei più attenzione a eventuali discrepanze tra Di Maio e Salvini, che per il momento non mi paiono essere significative. E sopratutto all’emersione di una linea strategica da parte di Conte, che credo faccia bene ad attendere per posizionarsi.
Governo Conte e governo Gentiloni.
Sul tema migratorio il governo attuale mi sembra molto più compatto del governo precedente, in cui la linea Minniti e quella Delrio e Giro erano totalmente dissonanti.
Cosa si sentirebbe di suggerire al presidente del Consiglio?
Alcune idee per le emergenze di più breve periodo. Su come affrontare poi i temi immensi dello sviluppo dell’Africa, lascio volentieri il dossier agli esperti della cooperazione allo sviluppo. Sperando non siano gli stessi di qualche decennio fa…
Ci dica alcuni iniziative o provvedimenti fattibili.
Potrebbero essere quattro. Primo: occorre rilanciare una politica libica italiana basata sulla unità del Paese, la lotta al traffico dei migranti, il controllo delle frontiere esterne. Ciò non può essere fatto in solitudine, ma mettendo la nostra azione al riparo di Washington, ma anche del Cairo, di Mosca e Ankara.
E sul versante europeo?
Secondo punto: spingere i Paesi europei, sopratutto quelli che chiedono più rigorosi controlli alle frontiere, ad una solidarietà attiva con azioni di politica estera comune nel Sahel, in particolare con i Paesi confinanti con la Libia. Ma anche ad utilizzare sanzioni economiche internazionali contro trafficanti, organizzazioni criminali, membri della diaspora o leadership di Stati che producono artificialmente crisi migratorie verso l’Europa.
Fare o non fare i cosiddetti centri di protezione?
Sono indispensabili. E’ il terzo punto: accelerare il capacity building della guardia costiera libica di pari passo con la costruzione di centri di protezione e rimpatrio dei migranti gestiti secondo standard internazionali. Se non si vince la battaglia degli standard umani dei centri in Libia o altrove in Africa, ogni altra politica rischia di essere inutile.
Ultimo punto?
Riaprirei la cooperazione con la Tunisia sul Sar, sia riaprendo il dossier della definizione delle aree, sia verificando a quali condizioni la Guardia costiera tunisina possa cooperare nei salvataggi in mare nelle proprie acque territoriali ed in quelle internazionali.
(Federico Ferraù)