Il terrorismo in Europa spaventa e, un po’ egoisticamente, fa desiderare che si trovino risposte forti e certe ma al tempo stesso non troppo impegnative: come liberarsi della presenza musulmana, o trovare un difensore sicuro.
Conforta infatti pensare che ci sia uno Stato forte che sappia cosa fare in queste circostanze, e a questo punto non manca mai qualcuno che suggerisce il presidente russo, il prototipo dell’uomo di Stato forte che non subisce attacchi terroristici perché sa farsi rispettare persino dall’Isis. La Russia di solito è designata a rivestire questo possibile ruolo guida da una parte perché i paesi occidentali hanno deluso, ma in realtà perché si sa veramente poco di quello che fa o non fa veramente, e quindi poco si conosce l’efficacia reale della sua politica. All’origine di questa situazione c’è una propaganda russa molto ben orchestrata che rifluisce sulla stampa occidentale — Italia compresa — attraverso mille canali.
Subito dopo gli attentati di Bruxelles il leader della Lega nord, Matteo Salvini, ha dichiarato che “Putin da solo ha fatto contro l’Isis più di quanto sia stata in grado di fare l’Europa tutta insieme”, invocando che “Mosca sia protagonista in questa fase dopo che l’Europa ha dimostrato per l’ennesima volta tutta la sua debolezza e incapacità di difesa. La collaborazione della Federazione Russa è un elemento imprescindibile per la lotta al terrorismo”.
Desiderare la collaborazione della Russia è giusto, ma auspicare “che sia protagonista” perché avrebbe le risorse spirituali e militari per fronteggiare il terrorismo può dirlo solo chi è molto disinformato; e del resto l’Occidente lo è quasi sempre, oltre a coltivare una smemoratezza colpevole.
La Russia ha un problema endemico di terrorismo dai tempi della prima guerra cecena, nei primi anni 90, quando gli attentati, come quello all’ospedale di Budjonnovsk, provocavano anche 200 vittime alla volta. L’avvento al potere di Putin non ha risolto il problema, a partire dall’attentato nel centro di Mosca pochi mesi dopo il suo insediamento, a quello al Teatro Dubrovka che fece 130 vittime nel 2002. E poi ci furono una serie infinita di attentati come quello a Mosca nel 2003 durante un concerto rock, con 16 morti; o attacchi di kamikaze in zone più periferiche su treni, autobus, mercati, e ogni volta erano 50, 60 vittime; quasi come in Siria. È del 2004 l’attentato nel metro di Mosca che fece 42 vittime e 250 feriti, nonché l’esplosione di due aerei che causò 90 vittime; ma quell’anno soprattutto ci fu la tragedia nella scuola di Beslan (Ossezia del nord) che costò la vita a 334 persone di cui 186 bambini. E il terribile elenco continua sino ai nostri giorni, nel 2010 ancora il metro di Mosca (41 morti); nel 2011 l’aeroporto di Domodedovo (37 morti e 130 feriti), sino all’attentato del 2015 contro l’Airbus 321 sul Sinai, 224 vittime.
In 11 anni solo nella capitale ci sono stati 628 morti di terrorismo, e migliaia di feriti; in tutto il paese i morti sono migliaia e non sembra che si vada verso un miglioramento. Non è per fare un orribile confronto di vittime, ma solo per sottolineare che ognuno di questi episodi da solo sarebbe come il Bataclan, come Bruxelles oggi: dovrebbe essere un fatto sconvolgente per la società, che suscita interrogativi e lascia un’impronta durevole nella coscienza di una nazione e di un continente. E invece l’Europa e la Russia, o almeno quelle loro componenti che sono sempre alla ricerca dell’uomo della provvidenza che tutto può risolvere, sembrano essersi dimenticate di ogni cosa: l’Occidente che sogna l’uomo forte si dimentica di piangere questi morti che neppure conosce, e la Russia, che l’uomo forte ce l’ha, fa anche peggio. Non tutta per fortuna, ma quella che vive nel culto della forza, ha fatto davvero peggio. Il 22 marzo il deputato Vladimir Zhirinovskij ha detto in televisione qualcosa che supera di molto la decenza (canale Rossija): “La Russia non è Europa. Adesso gli attentati li fanno in Europa e se li tengano. A noi conviene! Che crepino e vadano all’altro mondo”.
Forse l’Occidente dovrebbe riflettere sugli effetti di certi sogni.
La società russa ha sempre saputo incassare la violenza, ma quello che c’è di nuovo negli ultimi 15 anni è il clima, la cultura ufficiale, la propaganda dei media che esaltano l’aggressività, mostrando i pugni, erigendo a principio l’insensibilità e addirittura il disprezzo per l’elemento umano. La Russia è tornata sulla scena mondiale cavalcando la forza, la vendetta, il disprezzo del debole, e questo ha avuto una ricaduta micidiale sull’atmosfera morale del paese, sulla mentalità comune, alzando il livello dell’indifferenza e del cinismo: nessun politico europeo, di qualsiasi schieramento, avrebbe avuto il coraggio di dire quello che ha detto Zhirinovskij.
All’origine di questa volgare ferocia quotidiana che taglia il sussidio di una carrozzella ai bambini invalidi e i farmaci ai malati terminali, e risuscita il mito di Stalin vincitore della Grande Guerra Patriottica, c’è lo stesso “governo forte” che a Beslan è stato la causa prima di tante vittime ordinando un blitz brutale e mal gestito; o che al Teatro Dubrovka ha fatto morire gli ostaggi non per le bombe dei terroristi ma per il gas nervino usato dalle forze speciali. E fosse servita, tanta durezza, a debellare il terrorismo, a impedire la penetrazione dell’Isis nel paese. E invece no, oggi un dato certo è che l’80 per cento delle migliaia di tadzhiki che militano nelle formazioni del califfato è stato arruolato in Russia, segno che vi sono attive molte cellule del radicalismo islamico.
Tra deputati di cui ci si dovrebbe vergognare e incapacità di far fronte veramente alla minaccia terrorista, il giudizio più calzante sembra quello dato da un intellettuale russo: “Quello che ho da rimproverare all’attuale governo non è quello che ha fatto. Ma che ha consapevolmente e coerentemente risvegliato il peggio che c’è nell’uomo”.
E ancora una volta, forse l’Occidente dovrebbe riflettere sul costo dei suoi sogni, che in Russia hanno già fatto tornare qualche incubo.