Un conflitto nel conflitto, con lo scontro tra islamisti e ribelli laici che rischia di aggiungersi a quello contro Assad. E’ quello prefigurato da Abu Sayyaf, leader dei salafiti giordani, che in un’intervista ha affermato che le “divergenze di visione e di obiettivi” tra l’Esercito Siriano Libero e le milizie islamiste provocheranno “uno scontro inevitabile che causerà molte perdite”. Abu Sayyaf ha aggiunto che in Siria “i combattimenti tra questi due fronti sono un male necessario”. Ilsussidiario.net ha intervistato Christopher Swift, professore di Sicurezza nazionale alla Georgetown University e uno dei maggiori esperti Usa di terrorismo internazionale.
Esiste davvero il rischio di uno scontro tra salafiti e ribelli laici in Siria?
E’ un rischio molto probabile e che deve essere preso molto sul serio. Più che uno scontro tra salafiti e ribelli laici, è probabile che si crei un braccio di ferro tra al Qaeda e Jabhat Al-Nusra da un lato e tutto il resto dall’altra. Attualmente c’è molto disaccordo politico tra i salafiti e i ribelli laici nel movimento siriano, oltre che tra i liberali e gli islamisti moderati. Soltanto Al Qaeda però è stata finora coinvolta nell’uccisione di altri ribelli, ed è il gruppo terrorista a rappresentare un problema e non tutti i salafiti o gli islamisti.
Per quale motivo la presenza di Al Qaeda in Siria è così forte? L’uccisione di Bin Laden non ha indebolito il gruppo terrorista?
Al Qaeda non si è indebolita, ma è la natura del suo potere e il centro del suo programma che sono cambiati. In primo luogo è avvenuto uno spostamento geografico, da luoghi periferici come Bosnia, Cecenia, Afghanistan e Indonesia al cuore dei Paesi arabi. Il secondo cambiamento è stato di natura generazionale. Le persone attualmente alla guida di Al Qaeda sono cresciute combattendo gli Stati Uniti, e non l’Unione Sovietica in Afghanistan come era per la generazione precedente. Tutto ciò ha prodotto un maggiore radicamento locale della jihad globale, con conflitti come quello siriano o nello Yemen del Sud che sono diventati il nuovo volto di Al Qaeda. Queste operazioni hanno una portata innanzitutto locale, ma sono globali dal punto di vista del quadro ideologico e delle implicazioni per la stabilità nel Medio Oriente.
Assad riuscirà a prevalere su Jabhat Al-Nusra?
La principale difficoltà di Assad nel vincere la guerra consiste nel riprendersi dei territori che ha perso, e attualmente non sembra avere la capacità per farlo. Per vincere la guerra i ribelli devono invece abbattere Assad e rimpiazzarlo con qualcun altro. Finché Al Qaeda continuerà a giocare un ruolo così importante nel movimento ribelle, è improbabile che quest’ultimo riesca a realizzare i suoi scopi. Come in altre guerre simili, Al Qaeda sta usando il conflitto siriano per generare ancora più violenza. Ciò non ha nulla a che fare con i ribelli né con Assad, e si tratta di un problema che difficilmente potrà essere risolto in qualsiasi momento del futuro.
Per il corrispondente dell’Independent Robert Fisk, prendendo parte al conflitto siriano l’Occidente rischia di provocare una nuova Bosnia. E’ d’accordo con lui?
Sono un professore universitario, e non possono evitare di dire apertamente che da un punto di vista analitico ci sono dei gravi rischi nel fare delle analogie storiche come questa. La situazione sociale, culturale, politica nella Siria contemporanea è molto diversa da com’era in Bosnia negli anni 90. L’interesse dell’Occidente a intervenire e stabilizzare l’attuale conflitto è a sua volta diverso. In termini di sofferenze umane e di numero di rifugiati, Bosnia e Siria sono molto simili. Nel primo conflitto a scontrarsi erano però cristiani da un lato e musulmani dall’altra. In Siria abbiamo invece ribelli la cui stragrande maggioranza sono sunniti, una minoranza alawita al governo e una piccola banda di combattenti estremisti. Non si tratta quindi di situazioni analoghe, e se l’Occidente vuole contribuire a stabilizzare la situazione deve basarsi sulla realtà di questo conflitto, e non su parallelismi con la guerra di Bosnia di 20 anni fa.
(Pietro Vernizzi)