Il 13 luglio 2015, durante l’udienza della Corte suprema di New Delhi, il governo indiano ha comunicato di aderire al procedimento arbitrale previsto dalla convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Cnudm), che l’Italia aveva formalmente attivato il 26 giugno precedente ed a cui l’India comunque non poteva sottrarsi.
Sono trascorsi ben 40 mesi dall’incidente del febbraio 2012, avvenuto al di fuori delle acque territoriali indiane, allorché, imbarcati sul mercantile Angelica Lexie come nuclei armati di protezione, i fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati accusati di aver ucciso due pescatori indiani, mancando tuttavia fino ad oggi uno specifico capo di imputazione nei loro confronti.
Vale la pena di ricordare che la scelta di deferire la controversia tra i due Stati ad un arbitrato ad hoc, ai sensi della parte XV, sezione seconda, nonché dell’allegato VII alla Cnudm, avanzata da più di uno esperto fin dall’inizio della vicenda, era stata oggetto di un ordine del giorno, votato all’unanimità alla Camera il 13 marzo 2014, in occasione della discussione relativa all’invio delle missioni all’estero. Conseguentemente, il 18 aprile 2014, una nota verbale del nostro ministero degli Esteri alle autorità indiane aveva dato inizio agli scambi di punti di vista propedeutici alla richiesta dell’arbitrato.
Ora sarà istituito l’apposito tribunale, composto di cinque membri. Italia e India hanno diritto di designare un membro, gli altri tre sono nominati di comune accordo. In caso di disaccordo è previsto l’intervento del Presidente del Tribunale internazionale di diritto del mare. Il menzionato allegato VII detta anche regole di procedura (derogabili peraltro con l’accordo delle parti). L’India ha annunciato che in giudizio difenderà la propria competenza a giudicare i due marò e l’Italia, ovviamente, contesterà questa pretesa e farà soprattutto valere l’immunità funzionale spettante ai nostri marò, che hanno agito come organi dello Stato italiano. Secondo la prassi, i tempi medi di un giudizio del genere sono di 2/3 anni. La sentenza è in unico grado, ma le parti possono prevedere l’appello e, comunque, è sempre possibile un giudizio circa l’interpretazione e le modalità di esecuzione della sentenza.
Nelle more della costituzione del tribunale arbitrale l’Italia può chiedere al Presidente del Tribunale internazionale del diritto del mare la concessione, a titolo di misura provvisoria (da confermare da parte del tribunale arbitrale una volta costituito), che i due marò possano attendere in Italia la conclusione dell’arbitrato (nel frattempo la Corte suprema indiana ha prolungato di ulteriori sei mesi, fino al gennaio 2016, il periodo di convalescenza che il marò Latorre sta trascorrendo in Italia, mentre il marò Girone è tuttora “ospite” dell’ambasciata d’Italia a New Delhi).
Durante il giudizio è pur sempre possibile che la controversia sia risolta in via diplomatica con un accordo tra le parti. La Corte suprema di Delhi è chiamata anche a pronunciarsi sull’istanza italiana volta a sospendere i procedimenti indiani in attesa della sentenza arbitrale.
All’esito della vicenda, è auspicabile che una commissione d’inchiesta parlamentare faccia piena luce sui molteplici errori compiuti e sulle conseguenti responsabilità incorse a tutti i livelli nella conduzione di questa vicenda (dal non aver impedito il rientro della nave nel porto indiano, alla “restituzione” all’India dei marò dopo la “licenza elettorale” del 2013, in pendenza del rischio di una condanna alla pena capitale, al ritardo nell’instaurazione della controversia internazionale, alla conduzione dell’azione penale in Italia, ecc.).