Ciò che colpisce di più dell’accoglienza delle parole pronunciate da Benedetto XVI durante il suo viaggio a Cipro è la facilità con cui esse sono state lette ora da una ora dall’altra delle parti in conflitto in Medio Oriente. C’è chi si è precipitato a esaltare la chiara e inequivocabile condanna dell’occupazione israeliana dei Territori palestinesi e chi invece ha sottolineato come l’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo, che il Papa ha consegnato alle Chiese del Medio Oriente domenica mattina, prenda di mira soprattutto il fondamentalismo islamico in costante crescita.
Né l’una né l’altra di queste letture strumentali hanno voluto veramente fare i conti con il messaggio di Benedetto XVI, che lo scorso 13 maggio a Fatima aveva detto: «Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa. Qui rivive il disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi: “Dov’è Abele, tuo fratello?… La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!”. L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce a interromperlo».
Domenica scorsa, a Nicosia, Ratzinger ha lanciato un suo «appello personale» per «uno sforzo internazionale urgente e concertato al fine di risolvere le tensioni che continuano nel Medio Oriente, specie in Terra Santa, prima che tali conflitti conducano a uno spargimento maggiore di sangue».
I cristiani del Medio Oriente si trovano spesso stretti nella morsa degli opposti estremismi. Soprattutto la crescita dell’islam politico, che vuole imporre la legge islamica a tutti, tormenta la vita delle antiche e minoritarie comunità cristiane dell’area, scoraggiate, tentate a chiudersi in un ghetto (talvolta il ghetto viene proposto da chi pensa di risolvere le contese internazionali separando popoli e comunità come in un grande zoo: è la «soluzione» americana per la tutela dei cristiani in Iraq), tentate a fuggire, come purtroppo accade di frequente.
Il Papa a Cipro ha quindi voluto ricordare le «grandi prove» che alcune comunità cristiane soffrono in queste regioni e il prezioso contributo al bene comune portato dai cristiani, definiti «artigiani della pace». «Voi – ha detto – desiderate vivere in pace e in armonia con i vostri vicini ebrei e musulmani. Voi meritate la riconoscenza per il ruolo inestimabile che rivestite. È mia ferma speranza che i vostri diritti siano sempre più rispettati».
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I cristiani, che rischiano di chiudersi in un ghetto per la paura, si legge nell’Instrumentum laboris del Sinodo, devono essere consapevoli di appartenere al Medio Oriente e di esserne «una componente essenziale come cittadini», anzi, «i pionieri della rinascita della Nazione araba».
In queste regioni, i cristiani, sono chiamati a promuovere «la pedagogia della pace». Una via «realistica, anche se rischia di essere respinta dai più», ma che dovrebbe invece essere sempre più accolta, visto che «la violenza tanto dei forti quanto dei deboli ha condotto, nella regione del Medio Oriente, unicamente a fallimenti e a uno stallo generale».
Una situazione purtroppo «sfruttata dal terrorismo mondiale più radicale». I proclami antisemiti del presidente iraniano, l’antisemitismo ancora così radicato in molti Paesi dell’area, come pure le violenze, l’occupazione e il mancato rispetto delle risoluzioni internazionali, sono segni di un’escalation che preoccupa non poco la Santa Sede. Per questo il ruolo degli «artigiani della pace» cristiani in Medio Oriente è insostituibile e va sostenuto da tutti.