Obama è partito dall’Europa il 28 marzo e ritornerà in giugno per il vertice G7 che si terrà a Bruxelles. In poco più di 72 ore, il presidente americano ha incontrato i membri del Forum per la sicurezza nucleare e il G7 riunitosi all’Aia in Olanda, il primo ministro e la casa regnante olandese, in Belgio ha incontrato i vertici istituzionali dell’Unione europea e della Nato, ha visitato il cimitero dei caduti americani nella Prima guerra mondiale e il primo ministro e la casa regnante belga (fuori dalle sedi istituzionali), e poi in Italia l’incontro con Papa Francesco, il presidente della repubblica Napolitano e il presidente del consiglio Renzi. Tranne che in Vaticano, una visita di corsa con 900 persone al seguito, auto blindate, aerei e elicotteri. Città blindate e servizi pubblici deviati. Il contribuente americano copre un costo di 6,5 milioni di dollari, mentre solo la città di Bruxelles ha speso 10 milioni di euro (degli altri costi non si ha notizia).
È stata una visita che ha avuto poca presa sulle popolazioni europee, piuttosto infastidite per gli inconvenienti logistici e per i costi (al tempo dell’austerità). Simbolicamente ha voluto segnare il ritorno degli Usa in Europa, dopo il fallito pivot asiatico e dopo i tanti scandali finanziari e morali alla Santa Sede. Complice la crisi ucraina, il presidente americano ha tentato di riaffermare “l’unità dell’Occidente” rispetto al resto del mondo. In contemporanea, con molta più calma e tempo, si sta svolgendo la visita di 11 giorni del presidente cinese Xi in Europa. Anche lui al vertice olandese, poi in Francia, Germania e Belgio. Nel suo tour è stata esclusa l’Italia, un dettaglio non secondario, forse per sottolineare che Renzi aveva cancellato la programmata visita di stato italiana in Cina prevista per il prossimo aprile.
Intanto, dopo la visita di Obama, al margine della visita di stato della Corea in Germania, frau Merkel ha dichiarato che “la Germania non è pronta a inasprire le sanzioni alla Russia, ma al contrario vuole lavorare per disinnescare la crisi”. Nelle stesse ore, il presidente della Bundesbank ha dichiarato che “la Bce dovrebbe fare come gli americani, ovvero attrezzarsi per un piano di iniezioni monetarie (quantitative easing)”. Segnali e simboli di un’Europa corteggiata, ma anche di un Occidente debole e unito solo nella retorica. Finanche la Svizzera, che è presidente di turno dell’Organizzazione per la sicurezza e cooperazione in Europa (Osce), sulle sanzioni ha deciso di non decidere senza venire meno agli obblighi legali internazionali (la neutralità è stata salvata con eleganza!). Vale la pena ricordare che lanciare minacce di “conseguenze” non seguite dai fatti è uno spettacolo poco edificante per chi pensa ancora di essere la “prima potenza mondiale”.
Su questo giornale abbiamo già scritto dell’immagine di debolezza che ha trasmesso l’affrettato presidente Obama, accerchiato a casa da falchi democrats e neocons che non gli perdonano l’indecisione sull’intervento in Siria e l’apertura all’Iran. L’incontro con il Santo Padre è il solo aspetto che tutti i principali giornali americani hanno colto della visita di Obama in Europa. Dalle agenzie cinesi e russe nemmeno un rigo sul suo tour europeo. Dell’incontro nelle “sacre stanze” abbiamo visto un “americano a Roma” che ha cercato di sdrammatizzare l’eloquente volto del Pontefice con ampi sorrisi protocollari. Anche la nota della sala stampa vaticana non ha migliorato l’impressione “drammatica” di questa visita che per Bergoglio s’incentrava sui disastri umani e sociali dell’economia finanziarizzata, sull’esclusione sociale, e sull’etica e la morale nella politica.
Quest’ultimo punto è stato somministrato ai politici italiani convocati alla messa delle 5.30 del mattino dove il Papa li ha avvertiti che “la corruzione non si perdona”. Scarna e precisa, la nota vaticana recita che l’incontro si è svolto “su alcuni temi attinenti all’attualità internazionale, auspicando per le aree di conflitto il rispetto del diritto umanitario e del diritto internazionale e una soluzione negoziale tra le parti coinvolte” e sulle relazioni bilaterali “ci si è soffermati su questioni di speciale rilevanza per la chiesa nel Paese, come l’esercizio dei diritti alla libertà religiosa, alla vita e all’obiezione di coscienza nonché il tema della riforma migratoria”. Insomma, una doccia fredda per il sorridente Obama. Ma anche per l’altrettanto sorridente Renzi il messaggio di Obama è stato una doccia fredda: sugli acquisti degli F35 mi hai profondamente deluso, e già il ministro Pinotti corre ai ripari, mentre per il resto, riforme e conti pubblici, “le idee sono buone”. La replica di Renzi è stata vaga e laconica: “Yes, we can”. Quanto all’ottuagenario amico americano, Obama lo ha ringraziato per il “good work done” e buon riposo caro presidente Napolitano. A nulla sembra essere servita la subalterna copertura in diretta di ogni spostamento di Obama a Roma che il contribuente ha pagato con RaiNews24.
Dopo questa sbornia informativa sull’esaltazione della debolezza e del nulla, veniamo a capire che cosa fa il resto del mondo. La Cina sta visitando con calma e metodo la Francia, poi la Germania e infine le istituzioni europee. Il principale obiettivo del presidente Xi è la “penetrazione economica cinese”, che in Francia ha portato all’acquisizione del 14,8% del gruppo Psa-Citroên, e ad accordi sulle costruzione e licenze di Airbus oltre che sulla cooperazione in materia nucleare. C’è da aspettarsi che anche in Germania gli accordi commerciali fiocchino, anche per onorare la ferrovia veloce che collega Berlino a Pechino in 4 giorni e mezzo. Con le istituzioni europee, invece, la questione sarà giocata in punta di spada, tra apprezzamenti per il “soft power” in materia di sicurezza e comandamenti per evitare che l’accordo di libero scambio Ue-Us (Ttip) danneggi indirettamente gli interessi cinesi. Insomma, mentre Obama “ha fatto l’americano”, il cinese fa affari.
D’altra parte, la Russia, che pochi giorni fa ha preso il controllo dell’italiana Pirelli grazie a un modesto investimento di Rosneft, non ha ancora deciso di mollare l’Europa agli Usa. Tuttavia, è chiarissimo che la strategia del presidente Putin non è militare ma di intelligence ed economica. Infatti, l’intelligence russa, di concerto con la Germania (e forse l’Italia), sta già operando in Ucraina per “disinnescare” problemi che richiedano l’uso della forza, ma allo stesso tempo mantiene rapporti più che proficui con il Regno Unito e la Svizzera, dove finora passano l’80% delle quotazioni e dei proventi delle materie prime russe. Quanto alla Germania, le parole della Merkel hanno fatto eco a quelle dell’anziano leader socialdemocratico, Helmut Schmidt, padre della “Ostpolitik”, che hanno bollato come idiozie le minacce americane e della Nato alla Russia.
Non essendo chiaro che cosa intenda fare “l’amico americano”, che ha bisogno dell’aiuto russo in tutto il Medio Oriente e in Asia Minore, il presidente Putin tiene aperto il suo pivot sull’Asia. Non solo sulla Cina. Infatti, a maggio si recherà a Pechino dove dovrebbe firmare un accordo commerciale epocale per la fornitura di energia alla Cina. Ma, in seguito alla visita di stato del Giappone alla Russia, Putin ha riattivato il programma per il sistema di pagamento elettronico indipendente analogo al giapponese Jcb. Quindi, delle sanzioni se ne infischia! Intanto, il capo della Rosneft, Sechin, è andato a far visita al presidente Singh dell’India, con una proposta in materia di più stretta cooperazione nucleare (due reattori nuovi di zecca) e altre forniture militari e civili.
Anche con la Corea del Sud la Russia non s’inquieta della necessaria quanto retorica alleanza con gli Usa, ma continua a sostenere i rapporti commerciali bilaterali. Oltre il Nord-est asiatico, la Russia sta aprendo canali di cooperazione tecnologica anche con Singapore e Taiwan (non lo scrivo io ma l’americana Carnegie Russia). Insomma, la Russia non perde tempo con le ridicole scaramucce euro-atlantiche su un Paese inesistente ma sovrano (Ucraina), e guarda al sistema di forze mondiali dove vuole essere un partner essenziale di tutti i Brics, non solo della Cina.
Quanto all’Ucraina, la lettera del presidente della Duma russa a Polonia, Romania e Ungheria, resta confermata e propone che il Paese resti formalmente unito ma sotto il coinvolgimento concordato di questi quattro paesi che ne garantiscono la sostenibilità strutturale e di sicurezza. Non è meglio questo che i 78 giorni di bombardamenti Nato in Serbia, con 2000 morti e 40000 case distrutte, e le stazioni televisive colpite con morti e feriti?