L’Argentina da alcuni anni vive una favola scritta e divulgata direttamente dal Governo kirchnerista, la cui politica però si scontra duramente con la realtà di un Paese che, benché dotato di immense ricchezze, vede in costante aumento l’indice di povertà. Complici decisioni economiche alquanto metafisiche e una situazione finanziaria al limite del collasso, con spese faraoniche per finanziare il racconto di cui sopra: ne è un esempio quello stridente della trasmissione “Futbol para todos”, che diffonde in diretta le partite di calcio gratuitamente ma dietro sponsorizzazioni governative che rappresentano la spesa più alta del bilancio dello Stato, quasi ci si trovasse a vivere in un Emirato. Ma povertà vuol dire anche insicurezza, prostituzione e narcotraffico, tre fattori che nell’epoca kirchnerista sono aumentati a dismisura. Le istituzioni fanno veramente poco, quasi che la situazione fosse funzionale al loro potere.
Ci sono persone che però sanno dire no a questa situazione: una di queste è di certo Miguel Angel Sorbello, docente universitario ma sopratutto responsabile di diverse organizzazioni che lottano per tentare di recuperare non solo condizioni di vita degne, ma anche ragazzi con l’esistenza rovinata dall’uso di droghe sintetiche, la cui dipendenza è spesso solo l’inizio dell’avvio alla delinquenza o alla prostituzione. Lo scorso anno Miguel è stato insignito a Palermo del prestigioso Premio Puglisi, dedicato al sacerdote che lottò contro la mafia e perse la vita proprio per il suo impegno nello stesso campo. Lo abbiamo incontrato nella sede della “Defensoria del pueblo”, un’istituzione municipale di Buenos Aires con cui collabora da molto tempo.
Secondo l’Università Cattolica argentina, il Paese ha un indice di povertà del 25%: in pratica un abitante su quattro versa in condizioni economiche disagiate. Nonostante gli aiuti elargiti dallo Stato questo fenomeno sembra aumentare: perché?
In primo luogo, in Argentina, come in tanti altri Paesi, la povertà è calcolata basandosi sui livelli di guadagno, contrapponendo quest’ultimo al paniere che raggruppa le spese basiche per sopravvivere. Tutto ciò però ha perso la connessione con la realtà, perché si dovrebbe stabilire in primis l’importanza dei prodotti inclusi nel paniere e il loro prezzo, cosa che già fa aumentare la percentuale di povertà. Ma poi ci sono altri indicatori importanti che alterano il dato.
A cosa si riferisce?
Per esempio, dai numeri sulla disoccupazione si escludono coloro che godono dei piani sociali di aiuto sia governativi che statali e ciò provoca una distorsione della realtà. Alla fine i dati che si conoscono non corrispondono affatto a una realtà che è ben più drammatica, perché il gap continua a crescere: quelli che già erano poveri rimangono tali senza possibilità di migliorare, ma in questo settore entrano anno dopo anno più persone. Già abbiamo raggiunto in queste fasce la terza generazione di abitanti che non hanno mai avuto un lavoro, fatto che provoca la perdita della concezione di impiego stesso. Quando cresci in una famiglia dove i tuoi non lavorano ti riesce difficile capire questo valore. Poi c’è l’accesso all’impiego che è molto più complicato di anni fa, si richiede personale sempre più specializzato. C’è un concetto sviluppato da Loic Wacquant molto interessante in merito.
Di che cosa si tratta?
Il sociologo discepolo di Pierre Bordieu ha parlato di marginalità avanzata, qualcosa che mi pare molto più interessante del termine povertà. In pratica si chiede cosa succede con tutta questa gente che si è trovata fuori dal sistema senza più possibilità di rientrarci.
Ma i sussidi non attenuano la situazione?
Solo parzialmente perché sono in primo luogo insufficienti anche per sopperire alle necessità basiche. A questo dobbiamo aggiungere che la casa rimane la stessa, le cloache continuano a mancare, quando piove spesso l’acqua entra nelle abitazioni, l’elettricità non c’è o è discontinua, le condizioni igieniche sono pessime… quindi, i problemi strutturali sono rimasti invariati. Infine, c’è una questione politica inerente il sistema di tassazione: su ogni cosa si paga il 21% e quindi se non si attenua la pressione fiscale la situazione non cambierà. Questo Governo ha goduto di una maggioranza politica e di un sostegno sindacale come mai si era registrato in Argentina. Ma anche tutto il potere accumulato non è servito a far cambiare la situazione.
Allora è vero che le organizzazioni esterne alla politica operano meglio.
Ci sono persone che indicano lo Stato come assente in questo processo. Io dico di no perché l’educazione e i servizi sanitari sono di livello e totalmente gratuiti per tutti. Nelle villas di Buenos Aires ci sono mense che il Governo sostiene economicamente. Poi ci sono i sussidi, ma tutto il resto viene realizzato da organizzazioni apolitiche. Come la costruzione di asili e scuole e di altre strutture per le comunità.
Visitando le villas ci si imbatte sempre in individui legati al Governo nazionale o al Comune di Buenos Aires che si accusano reciprocamente del malfunzionamento delle strutture. Si ha l’impressione che la povertà debba essere mantenuta per un qualche vantaggio politico…
Sono d’accordo. I poveri rappresentano un voto economico. Qui vicino c’è la sede del ministero della Salute Sociale, luogo dove, in caso di manifestazioni politiche, si raduna un numero impressionante di bus scolastici che raccolgono intere famiglie che nulla hanno a che vedere con queste faccende, spesso in cambio di 100 pesos (6 euro, ndr) ciascuno. Una persona normalmente non accetterebbe, ma se pensiamo che gli importi dei piani sociali sono inferiori a quelli dei contratti di lavoro più bassi, allora si capisce che anche quella cifra diventa importante. Il business dei poveri quindi esiste, ma non solo qui da noi. Uno degli operatori sociali brasiliani più conosciuti, Paulo Neto, parla della “politica povera per i poveri” e quando uno analizza questi programmi sociali, beh, è una definizione perfetta: la politica cura i mali con cerotti.
Sì, ma non solo quelli delle classi meno abbienti mi pare…
Esatto, se guardiamo le strutture pubbliche, ad esempio i trasporti, solo recentemente, a causa di incidenti continui, si è deciso di intervenire sul sistema ferroviario: tanto i politici non usano i treni e non leggevano nemmeno i report sulla situazione catastrofica che gli venivano inviati dalle Autorità preposte alla sicurezza…
Torniamo al tema delle villas: in Brasile sono stati messi in pratica dei progetti dello Stato tesi al controllo di questi quartieri, in modo da sottrarli alla malavita, attraverso una politica di interventi e azioni molto soft, cosa che ha permesso di recuperarle. In Argentina queste misure sono assenti…
Sei anni fa esisteva solo la polizia Federale a Buenos Aires, poi è stata creata quella Metropolitana, però ci sono state talmente tante denunce di connivenza tra polizia e malavita che è stato problematico inserire unità non vincolate al fenomeno all’interno delle villas. Ci sono, però non hanno il controllo dell’intero territorio. Alla fine si tratta di una decisione politica, perché se si volesse si potrebbe operare più profondamente.
Queste mafie si dedicano anche alla prostituzione di minori che spesso vengono anche portati alla tossicodipendenza di droghe sintetiche e a basso costo per poi sfruttarne i corpi e anche addestrarli ai furti in cambio i dosi.
L’Argentina da zona di transito si è trasformata in Paese produttore di droghe, dove pure il consumo è aumentato esponenzialmente e il territorio dove si è diretto lo sviluppo del fenomeno è stato principalmente quello delle villas. Ovvio che il narcotrafficante non abita li, ma ha un controllo totale. In pratica si sostituisce allo Stato assente e non solo.
In che modo?
Quando uno viene incarcerato, i narcos mantengono la famiglia, sempre che non parli. In tutto: dall’assistenza sanitaria alla casa. Qui in Argentina si celebra il compimento del 15° di età della donna come entrata nella maturità (come da noi in Italia il 18°, ndr) e le famiglie spesso contraggono debiti per festeggiarlo. Le mafie fanno anche questo: pagano loro la festa. Per cui si capisce l’importanza che hanno anche per i giovani come riferimento sociale, creando una relazione di dipendenza che si approfondisce vedendo come queste organizzazioni costruiscano infrastrutture che migliorano le villas. Inoltre, dal 2002 circola in Argentina una droga sintetica, paragonabile al basuco del Brasile o alle piedras del Centroamerica. Si chiama paco ed è ottenuta dagli scarti della lavorazione della coca uniti a polvere di vetro e sostanze chimiche come l’efedrina. È relativamente a basso costo perché provoca una dipendenza velocissima e si passa, come in alcuni casi, da una a 80 dosi giornaliere in poco tempo. A quel punto per mantenere questi livelli di spesa ci sono due opzioni: darsi alla delinquenza o alla prostituzione.
Si diventi schiavi in poco tempo quindi…
Sì, mi sono capitati casi in cui, dopo aver trovato lavoro a questi giovani, l’esperienza è stata rovinata da questa dipendenza feroce che li ha ovviamente allontanati dall’inserimento sociale per trasformarli in schiavi, iniziando a rubare al lavoro per poi, una volta licenziati, farlo nelle proprie famiglie o coi parenti. In poco tempo ci si esclude dalla società e ciò crea difficoltà grandissime per il recupero della persona.
Esistono organizzazioni che si occupano di questo disagio?
Sì, io faccio parte di una che si chiama “Pastoral Villera” e abbiamo un programma specifico denominato “Casa di Cristo”, dove lavorano operatori sul territorio, nelle strade, e disponiamo di strutture destinate al recupero. Insomma, un’organizzazione che spesso riesce a portare le persone a risolvere il problema e al reinserimento sociale. Ma capita anche che, una volta rientrati nei nuclei famigliari, siano questi a invitarli a tornare sui loro passi per mantenere determinati livelli di vita, nel caso ovviamente di ex spacciatori. Da qui è nata l’esigenza di centri di formazione professionale che possano fornire opportunità di lavoro utili alla soluzione di queste problematiche.
Fino a pochi anni fa l’Argentina importava 123 kg all’anno di efedrina per utilizzo farmaceutico. Ora la cifra è di 53.000 kg: non mi pare solo per aggiungerla al collirio…
Sì è così, ma ciò evidentemente conviene al potere politico, altrimenti verrebbero messe in campo azioni efficaci per contrastare il fenomeno.
La prostituzione non solo implica la schiavitù e spesso la sparizione di persone, ma anche aberrazioni inconcepibili come la vendita di bambini con handicap a fini sadomasochistici.
Paesi storicamente al centro di questi fenomeni a livello minorile o infantile, come il Costarica, hanno attivato misure tali da sconfiggere o diminuire drasticamente questa piaga. In Argentina siamo molto distanti da ciò, quindi questo mercato si è focalizzato qui. E uno può rendersi conto facilmente di quello che succede in strada. Poi ci sono reti di organizzazioni che sfruttano sessualmente bambini, ovviamente lontano da luoghi pubblici, arrivando anche al fenomeno che potremo definire trans, dove bambini vengono vestiti con capi femminili. Per due anni mi sono occupato di questo per conto del Comune di Buenos Aires e siamo riusciti a mettere in funzione una commissione dedicata che ha ricevuto una quantità inimmaginabile di denunce e la scoperta di canali dedicati alla pornografia infantile. Del comitato che ho presieduto facevano parte anche ex prostitute e trans e abbiamo capita cose molto interessanti.
Quali?
Dalle loro relazioni abbiamo appreso che la stragrande maggioranza aveva iniziato in tenera età a praticare e che spesso erano spinti dai genitori subendo violenze oppure introdotti nel giro per pagare le spese famigliari. A questo abbiamo sommato le vittime della vendita di esseri umani di tutte le età, che ogni tanto diventano casi mediatici, ma anche in questo basta camminare per le strade e vedere gli annunci di ricerca di persone scomparse, rapite magari a Buenos Aires e apparse ai quattro angoli dell’Argentina come prostitute; questo indica l’esistenza di un’organizzazione ben pianificata.
L’Argentina produce alimenti per sfamare 160 milioni di persone, eppure c’è tanta povertà. Perché secondo lei?
Secondo me, il problema è che non c’è una ripartizione della ricchezza, che viene accumulata nelle mani di pochi. Se a Buenos Aires cammini per il modernissimo quartiere di Puerto Madero, sulla stessa strada pochi isolati dopo ti trovi una “villa miseria” che nell’arco di pochi anni ha raccolto 40.000 abitanti. Il numero di queste situazioni di emarginazione nell’arco di dieci anni è raddoppiato.
Ora abbiamo un Papa argentino. Pensa che possa influenzare il futuro della sua nazione?
Papa Francesco lo conosco come Padre Jorge: ho visto e condiviso la sua opera nei quartieri poveri e abbiamo parlato molto. È sicuramente un esempio per tutti e la sua influenza a livello internazionale gli ha permesso di operare efficacemente in alcune situazioni, come ad esempio nel caso dell’intervento armato degli Stati Uniti in Siria che ha contribuito a fermare o la ripresa del dialogo in Palestina. Rispetto all’Argentina, credo che nessuno sia profeta nella sua terra, ma il suo messaggio è stato ascoltato e adesso tutti sono amici del Papa, anche se questo Governo per anni non lo ha ricevuto. Se non sarà questo, sicuramente il prossimo esecutivo dovrà prendere in considerazione quanto dice ormai da anni.
Cosa in particolare?
Questo Paese deve essere più solidale e aiutare i poveri a superare la loro condizione, quindi deve attuare le misure necessarie perché è inconcepibile che la ricchezza dell’Argentina non traspaia dagli ingenti capitali a disposizione, per esempio, del Comune di Buenos Aires che non dedica forze sufficienti alla risoluzione dei problemi perché ancora diffuso il pensiero che vivere in una villa sia una scelta individuale, non obbligata: ma nessuno potendo nessuno vivrebbe lì. I fondi non vengono mai utilizzati appieno perché mantenere la condizione di questa gente ha i suoi vantaggi e anche perché il dialogo è pressoché inesistente. Ognuno dovrebbe mettere il proprio granello di sabbia per facilitare la soluzione del problema e Francesco lo ripete spesso. Vivendo in Argentina abbiamo il vantaggio di aver superato le crisi più disparate: certo, non abbiamo sofferto due guerre mondiali come l’Europa, ma abbiamo prodotto anticorpi per superare tutte le difficoltà, perché le nostre ricchezze ci rendono oggi più che mai un Paese privilegiato.
(Arturo Illia)