Il 30 luglio è iniziata in Georgia una esercitazione Nato con la partecipazione di Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Slovenia e Turchia, membri dell’Alleanza, e Georgia, Ucraina e Armenia. Questi ultimi tre Stati hanno relazioni bilaterali con la Nato e fanno parte del PfP, Partnership for Peace, alla quale ha partecipato anche la Russia fino alla crisi ucraina del 2014. L’invito alle esercitazioni era stato esteso all’Azerbaigian, che tuttavia non ha partecipato.
L’attuale situazione politica del Caucaso è conseguente alla caduta dell’Impero zarista e alla successiva dissoluzione dell’Unione Sovietica e presenta analogie con quella del Medio Oriente. Qui la situazione statuale è conseguenza della frantumazione dell’Impero ottomano. Nelle due regioni gli Stati divenuti indipendenti sono stati definiti in base agli interessi delle potenze vincitrici e alle necessità di uno Stato fortemente accentratore come quello sovietico. Sono state quindi ignorate in larga parte le differenze storiche, etniche e religiose che contraddistinguono entrambe le regioni, con le pesanti conseguenze ora sotto i nostri occhi.
Georgia, Armenia e Azerbaigian hanno alle loro spalle due disastrose guerre: quella dell’inizio degli anni 90 tra Armenia e Azerbaigian e quella del 2008 tra Georgia e Russia, continuazione di una precedente degli anni 90. Nell’agosto del 2008, l’esercito georgiano entrò nell’Ossezia del Sud dove, come nell’altra provincia dell’Abcasia, vi era un forte movimento indipendentista. La Russia intervenne a sua volta e nel giro di una settimana l’esercito georgiano fu costretto alla ritirata e le due province dichiararono l’indipendenza, riconosciuta però solo dalla Russia.
La Georgia ha avviato le procedure per entrare nella Nato, ma con una certa prudenza, date le tensioni tuttora esistenti con Mosca, ovviamente molto sensibile verso quello che considera un accerchiamento da parte della Nato. Più caute le posizioni di Azerbaigian e Armenia, che si limitano per il momento alla partecipazione al PfP e al North Atlantic Cooperation Council, costituito nel 1991 come foro di dialogo e cooperazione tra i membri della Nato e quelli del dissolto Patto di Varsavia.
La partecipazione dell’Armenia è probabilmente la causa dell’assenza dell’Azerbaigian alle esercitazioni Nato. La guerra per il Nagorno Karabakh è terminata nel 1994 con un semplice cessate il fuoco, violato più volte in tutti questi anni. Elevato è stato anche il numero di vittime civili, le ultime in un bombardamento armeno sul territorio azero all’inizio di questo luglio. Improbabile, quindi, che due Stati ancora formalmente in guerra potessero partecipare congiuntamente a esercitazioni militari.
Lascia un po’ sorpresi, peraltro, la partecipazione dell’Armenia, finora considerata alla stregua di un protettorato russo. Una recente dichiarazione ufficiale della Nato auspicava sempre più strette collaborazioni con l’Armenia, precisando che non costituiva ostacolo la sua partecipazione al Collective Security Treaty Organization e alla Eurasian Economic Union. La prima è un’alleanza difensiva, guidata dalla Russia, tra diversi Stati già membri dell’Urss, di cui facevano parte fino al 1999 anche Georgia e Azerbaigian. La seconda è una specie di Ue< guidata="" dalla="" russia="" e,="" oltre="" all'armenia,="" comprende="" bielorussia,="" kazakistan="" e="" kirghizistan.="" questa="" cautela="" della="" nato="" pare="" condivisa="" da="" mosca,="" che="" non="" ha="" finora="" preso="" ostentate="" posizioni="" contrarie="" alla="" decisione="" armena,="" forse="" perché="" la="" russia="" rifornisce="" di="" armi="" anche="">
Questo complesso intreccio di rapporti e contrasti ci riporta all’altrettanto complessa situazione in Medio Oriente e ai suoi intricati versanti politici, etnici e religiosi. Gli armeni, indoeuropei e cristiani, sono appoggiati dai russi, gli azeri, di etnia turcica e musulmani, sono sostenuti dalla Turchia. La maggioranza degli azeri è però sciita e in questo momento la tensione tra sciiti e sunniti è particolarmente alta. I rapporti tra Azerbaigian e Iran, entrambi a maggioranza sciita, sono ufficialmente improntati a un reciproco e “fraterno” rispetto, ma rimangono di fatto piuttosto tiepidi. Baku teme l’invadenza della teocrazia iraniana; da parte sua, Teheran teme possibili minacce secessioniste della forte minoranza azera, secondo alcune stime superiore alla stessa popolazione dell’Azerbaigian.
Riappaiono così alcuni importanti protagonisti della vicenda mediorientale: Russia, Iran e Turchia, i primi due alleati, la terza a rischio di isolamento. Tutti e tre si trovano a contrastare, pur a diversi livelli, le politiche di Arabia Saudita e Stati Uniti nella regione. Ciò potrebbe portare a una non belligeranza tra la Turchia sunnita e l’Iran sciita, in vista di una divisione delle sfere di influenza in Siria e Iraq adeguata ai rispettivi interessi. Più complicati i rapporti tra Ankara e Mosca, a partire dall’annessione della Crimea fortemente contrastata dalla Turchia. Tuttavia, sono molto forti i comuni interessi economici e quelli in campo energetico, che difficilmente possono essere lasciati da parte.
La soluzione pacifica dei conflitti che affliggono le due regioni rimane purtroppo ancora lontana. Ciò che emerge chiaramente è che gli Stati Uniti non si possono più considerare gli unici protagonisti del futuro assetto del mondo.