L’elezione di Trump altro non è stato che la presa di coscienza, in forma ancora indistinta e frammentata da parte del popolo nordamericano, che non si può dominare da soli il mondo. La Cina, del resto, avrebbe già da tempo dovuto creare la consapevolezza che quel sogno era impossibile, col solo suo porsi nell’agone internazionale, così come sta facendo da circa un decennio. Ma l’esser rimasti per così lunghi anni senza un nuovo accordo internazionale, che esprimesse la consapevolezza della necessità di un nuovo concerto tra le potenze mondiali, non poteva non essere senza conseguenze.
La mia tesi è che questa consapevolezza nasce, paradossalmente, dai grandi errori che si sono compiuti nel corso della storia universale. Infatti, l’elezione di Trump è stata una tragedia scaturita da un’immensità di errori delle classi dominanti nordamericane e dalla reazione che ne seguì. Sappiamo bene che cosa vi è alla base di tale reazione: la ribellione del popolo degli abissi per la de-industrializzazione finanziaria, per le forme neo-schiavistiche del lavoro, per la crisi delle classi medie, per lo sviluppo ineguale dell’accumulazione capitalistica mondiale che genera flussi migratori e per gli scontri culturali, antropologici che in tutto il mondo ne deriveranno, con i conflitti tra le popolazioni africane ed euroasiatiche che si riverseranno in Europa.
Il secondo errore fu quello compiuto creando l’Unione Europea senza scegliere tra federalismo e confederalismo, sottraendo sovranità agli Stati-nazione, con le classi politiche che quei popoli governano a collaborare al disegno tecnocratico a dominazione teutonica come se fossero nuove borghesie “compradore” che condividono il progetto tecnocratico di espropriazione. Queste nuove borghesie sorte dal seno della tecnocrazia europea, grande idrovora assistenzialistica che ha ucciso lo spirito imprenditoriale di milioni di imprenditori, possono essere completamente “transnazionali” oppure “solo interne” e “compradore” (o meglio, per far intendere ai più che nulla sanno dell’America del Sud: “borghesie vendidore”).
In questo contesto il Regno Unito ha sempre mantenuto fermo il principio dell’inconciliabilità del suo sistema giuridico e istituzionale nel suo complesso con quello di origine napoleonica europeo-continentale. La recente decisone di una parte del partito conservatore inglese di riaprire la questione Brexit sino a giungere alla messa in discussione del Mercato comune europeo è un segno distintivo della spaccatura verticale della classe dirigente inglese dinanzi ai prezzi che la deflazione tedesca e la stratificazione dei droits acquis comunitari hanno fatto pagare al sistema sociale inglese, in primo luogo mettendo in discussione la continuità dell’identità plurinazionale dei popoli riuniti dalla Corona e in secondo luogo attaccando con un eccesso di regolazione e burocratizzazione il cuore stesso di ciò che rimane del sistema produttivo inglese scosso dalla dilagante finanziarizzazione sregolata.
L’uscita dallo Zollverein europeo a matrice tedesca per una parte della classe dirigente di quella culla della civiltà giuridica mondiale viene vista come una strada di salvezza dagli errori del liberismo dilagante e finanziarizzato di matrice blairiana. Il settore della classe dirigente inglese che persegue questi motivi identificatori non può non essere attratta dal disegno che sta dietro lo sforzo di Trump di costruire un nuovo sistema internazionale fondato sul ritorno al duopolio con la Russia, contestualmente al confronto serrato sino alla sconfitta di uno dei due contendenti con la Cina.
Lo sforzo di Trump, come dimostra la sua insistenza sulla questione della Nato e l’impegno richiesto agli europei tutti per sostenerne il ruolo di antemurale alla potenza russa, come dimostra l’accordo con la Nord Corea diretto sia contro la Russia che contro la Cina tenendo il punto sulla presenza Usa nel Pacifico e in generale in Asia, come dimostra l’incontro che si terrà a Helsinki con Putin che avrà per oggetto la riproposizione di un accordo sul nucleare che sia da monito alle potenze nucleari asiatiche come come il Pakistan e l’India (che mai hanno firmato i trattati contro la proliferazione della bomba atomica) — tutti questi passi diplomatici di Trump dimostrano che gli Usa hanno riacquistato la consapevolezza che occorre ricostruire una nuova entente cordiale mondiale che non si fondi sull’assenza di conflitti convenzionali, cosa impossibile, ma sulla riscrittura di accordi di buon vicinato e sull’allontanamento della minaccia di nuove guerre nucleari, quanto mai possibili se si perde il controllo della complessità dell’ordine internazionale possibile.
Il ruolo dell’Europa in questo contesto può essere fondamentale solo se si interrompe il ciclo di decadenza in cui essa è caduta con la deflazione tedesca e il neodominio tedesco realizzato con l’instaurazione di un formidabile squilibrio di potenza a vantaggio della Germania contro tutti gli altri Stati europei, come dimostra in modo plastico il conflitto franco-tedesco. L’unico modo per indebolire la Germania è ricreare la situazione internazionale precedente alla Seconda guerra mondiale e, soprattutto, quella precedente all’entrata del Regno Unito nell’Unione Europea con l’Inghilterra che, attraverso l’Efta, condizionava dall’esterno il gioco di potenza europeo e impediva ai tedeschi di sottoporre al controllo tecnocratico in forma indiscussa le altre nazioni senza antagonismi. L’antagonismo poteva essere esercitato solo dall’esterno da una potenza nucleare come il Regno Unito che entrava nel gioco di potenza europeo volta a volta forte di un suo spazio economico di cui poter disporre nell’agone del commercio mondiale.
E’ l’anglosfera che ritorna possente e di cui Trump è l’interprete. Un gioco rischioso, ma senza il quale l’Europa è perduta, impoverita come sempre più sarà della deflazione tedesca e dal dominio tecnocratico senza legittimazione. Quello del sempre più chiaro disvelamento dell’impossibilità, dopo il crollo dell’Urss, di costruire pezzo a pezzo, via via, un po’ per volta, un nuovo sistema di equilibrio internazionale che sia in grado di far fronte, appunto, alle minacce di una guerra termonucleare mondiale, così com’è quando le relazioni internazionali sono in equilibrio, in ordine, ossia quando evitano la distruzione del mondo per via dell’atomica e moderano, diminuiscono, i conflitti tra le nazioni e i cosiddetti conflitti locali a geometria variabile e asimmetrica.