Sandy ormai se n’è andata ma non si può dire che non abbia lasciato traccia. Tutta la parte nord dell’East Coast è in ginocchio. Ancor più delle immagini dei notiziari di tutto il mondo (immagino anche in Italia) e delle foto sui siti di informazione, colpiscono i numeri.
Sono già 33 i morti accertati nel territorio statunitense (ma il bilancio è destinato a salire perché mancano molti dispersi all’appello), dieci solo nella città di New York. Morti ci sono stati anche in altri sei stati: New Jersey, North Carolina, Maryland, Virginia, Connecticut e Pennsylvania, dove ci troviamo noi. Senza contare che ben di più erano stati i morti negli stati caraibici, quando era ancora un uragano e non una tempesta tropicale: ben 67.
Impressionanti in particolare i dati di New York: 215 evacuati dagli ospedali nella notte, un milione di famiglie senza elettricità (tra cui molti giornalisti italiani che ieri raccontavano gli avvenimenti su Twitter: Molinari della Stampa, Gaggi del Corriere, Acquaro e Rampini di Repubblica, Marinelli del Sole, Lopes Pegna della Gazzetta), tutte le vie di accesso a Manhattan chiuse (ponti e tunnel), acqua alta più di due metri in alcune zone della città, palazzi sventrati dal vento. I danni sono stimati in svariati miliardi di dollari solo per la Grande Mela, le prime di stime della società americana Bloomberg prevedono una perdita di circa 20 miliardi di euro per l’economia americana e danni alle abitazioni stimabili in più di 10 miliardi (cifre che potrebbero mettere in difficoltà alcuni istituti di assicurazione americani, anche di grosse dimensioni).
Ma non c’è solo New York: l’80% di Atlantic City è sott’acqua (con onde alte 4 metri e venti a 140 km/h), in New Jersey ci sono 2,4 milioni di persone senza elettricità (8 milioni in tutta la East Coast) e tutte le strade statali di accesso chiuse, in Connecticut il governatore ha chiesto ai cittadini intrappolati dalle acque di appendere lenzuoli bianchi alle finestre perché non funzionano nemmeno le reti dei cellulari, a Baltimora in Maryland il vento ha letteralmente abbattutto quattro edifici nel centro cittadino. In tutto gli sfollati sono più di un milione.
Un altro grande problema è quello legato ai trasporti: la metropolitana di New York è completamente allagata e nelle stime più ottimistiche riaprirà tra 5 giorni, moltissime strade statali sono chiuse per cui ci sono stati che sono, di fatto, competamente isolati. Sono stati cancellati più di 15.500 voli, cosa che qui ha un significato del tutto diverso da quello che avrebbe da noi. I voli interni negli USA vengono usati anche dai pendolari per andare a lavorare: ci sono molti abitanti di Filadelfia che lavorano a New York e fanno andata e ritorno in giornata.
E qui veniamo al potenziale impatto dell’uragano sulla campagna. E non mi riferisco solo all’aver bloccato Obama a Washington, per seguire gli avvenimenti e l’andamento dei soccorsi (oggi avrebbe avuto, per esempio, un’importantissima giornata in Ohio). Ma ad altri due fattori: il primo è, per l’appunto, quello dei mezzi di trasporto. Molti americani vivono e lavorano in uno Stato diverso da quello in cui sono registrati come elettori, per cui il giorno del voto rientrano nello Stato di provenienza per esprimere la propria preferenza. Ma è evidente che in assenza di trasporti e con le strade bloccate questa possibilità potrebbe complicarsi. Il secondo è che a causa di Sandy è stato bloccato il voto anticipato in alcuni Stati chiave come Maryland e Virginia: un problema in più per Obama che stava spingendo fortissimo sugli early voters per guadagnare un po’ di margine.
Ma la vera bomba l’ha fatta scoppiare il capo della Fema, la Protezione Civile americana, ipotizzando la possibilità di rinviare il voto previsto per il 6 novembre. Le difficoltà sono logistiche: ci potrebbero essere grossi problemi con le macchinette elettriche touch screen attraverso le quali si vota in alcuni stati. Ma si aprirebbe un’altra questione perché sorgerebbe un complesso problema giuridico: esistono pochissimi precedenti di rinvii delle elezioni, perché qui è previsto per legge che qui si voti il primo martedì di novembre.
La sensazione è che Sandy sarà decisiva per la riconferma del Presidente: molti degli Stati toccati sono swing states, quindi decisivi ai fini della vittoria. Un buon funzionamento dei soccorsi potrebbe dare ad Obama una spinta importante a pochi giorni dal voto. Mentre, se qualcosa andasse storto, l’uragano potrebbe rivelarsi un aiuto insperato per il candidato repubblicano.
Vicesegretario nazionale dei Giovani Democratici, Giacomo Possamai si divide tra Vicenza (dove vive), Bologna (dove studia Giurisprudenza) e Roma. Attualmente segue in prima persona la campagna elettorale di Barack Obama dagli Stati Uniti.