Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza da Gerusalemme di Filippo Landi, da anni corrispondente Rai da Israele.
Caro Direttore, a Gerusalemme, mentre i carri armati israeliani stazionano alla periferia di Gaza, i politici pensano di avere in mano la soluzione della crisi. Dovranno essere i soldati della forza internazionale a sorvegliare il futuro di Gaza. Saranno loro a controllare i miliziani di Hamas e nel contempo permetteranno ai soldati israeliani di tornare oltre frontiera, forse non subito ma nel giro di qualche settimana, al massimo qualche mese. A questo piano hanno lavorato per mesi i politici israeliani, pungolati dai comandi militari.
Questi ultimi, infatti, hanno detto e ripetuto che non volevano rimanere impantanati nella Striscia di Gaza, esposti a una logorante guerriglia palestinese. Dovranno essere altri a gestire Gaza, mettendo la loro faccia, i loro soldati ed i loro cadaveri. Se infatti i soldati “internazionali” arrivassero a Gaza senza il consenso di Hamas si esporrebbero agli attacchi dei miliziani palestinesi.
L’estate scorsa, sui giornali israeliani, abbiamo letto ampi stralci del piano di attacco a Gaza, dell’auspicata forza militare internazionale ed anche del rifiuto dei paesi europei di inviare a Gaza propri soldati con il rischio di dover poi contare un gran numero di morti. Dall’estate scorsa ad oggi su Gaza era, però, calato il silenzio. La tregua militare che aveva evitato il lancio dei razzi Qassam e gli attacchi aerei israeliani era stata, di fatto, interrotta dagli israeliani all’inizio di dicembre. Un attacco terrestre ed aereo che aveva colpito i tunnel tra Gaza e l’Egitto ed ucciso almeno sei miliziani di Hamas. Poi la ripresa dei razzi Qassam sulle zone israeliane di confine e la fine formale della tregua non più prolungata da Hamas. E quindi l’attacco aereo e terrestre israeliano a Gaza.
In quei sei mesi di tregua, non si deve dimenticare, il blocco economico ed “umano” di Gaza era implacabilmente proseguito. Come d’altra parte gli arresti di miliziani e simpatizzanti di Hamas in Cisgiordania, con la cooperazione delle forze di polizia palestinese. Questa è stata la cronaca “dimenticata” e spesso occultata dai politici e da molti media europei ed americani, nella miope convinzione che Hamas sarebbe franata. D’altra parte, nessuno più voleva ricordare la vittoria elettorale di Hamas, alle elezioni palestinesi del 2006. Così Gaza e le sofferenze della gente, e quello che accadeva in Cisgiordania non hanno fatto a lungo notizia.
Adesso, mentre gli aerei bombardano in modo non sempre intelligente ed i carri armati sparano in modo ancor meno intelligente, la soluzione militare israeliana al problema Hamas ricade sulla comunità internazionale. Una soluzione non soluzione, che comunque fin qui ha già provocato centinaia di morti.
E torna alla mente il paragone con l’invasione del Libano nel 1982, la caccia ad Arafat, il suo esilio a Tunisi, i massacri di Sabra e Shatila, l’arrivo delle forze internazionali e dei nostri bersaglieri. E poi molti anni dopo la stretta di mano tra Rabin ed Arafat.
Adesso, i politici israeliani dicono che non intendono trattare con Hamas, con i terroristi. Nel contempo aggiungono cose via via diverse: inizialmente la loro volontà di rovesciare il governo di Hamas a Gaza, poi quello di infliggere una dura lezione ad Hamas.
Una cosa è chiara: gli israeliani hanno le loro strategie e le loro tattiche; le amministrazioni americane di Bush e di Barack Obama le sostengono pubblicamente o tacitamente le accettano; gli stati europei si accodano. Spazi per la Politica esistevano, ma sono stati colpevolmente dilapidati. Il governo di unità nazionale palestinese, nato nel febbraio del 2007 grazie alla mediazione saudita, non è stato riconosciuto dall’Unione Europea. Fatto ancor più grave, tutti hanno alimentato le divisioni tra i palestinesi, ed un fiume di armi e denaro dato agli oppositori di Hamas ha dato l’illusione che si poteva colpire al cuore il movimento islamista.
Non è andato come gli strateghi dell’”intelligence” pianificavano. I deputati di Hamas sono stati arrestati, ma Gaza è ugualmente caduta in mano ad Hamas.
Quello che accade a Gaza è, purtroppo, l’ennesimo capitolo di una incapacità della politica israeliana, americana ed europea ad affrontare in modo serio e razionale il “problema” dei movimenti politici islamici. La lotta al terrorismo è divenuto uno strumento colabrodo, che copre incapacità di analisi e di obiettivi. Proseguire su questa strada è possibile, anzi facile. In fondo cinquecento morti nella lontana ed isolata Gaza si possono presto dimenticare. L’isolamento europeo, americano e di Israele rispetto all’altra parta del mondo non potrà però che crescere.
Filippo Landi – Gerusalemme