Alle ultime decisioni della Nato non è stato dato, tutto sommato, un eccessivo rilievo, malgrado la loro potenziale pericolosità per il costante aumento di tensioni tra Stati Uniti e Russia, cui sembrano rivolti quelli che, per il momento, rimangono solo dei segnali.
L’invito al Montenegro ad entrare nella Nato, fatto all’inizio di dicembre, di per sé non cambia molto, viste le dimensioni del Paese (meno di 700 abitanti su una superficie di poco superiore a quella della Campania) e dato che nella Nato vi sono già altri Stati balcanici, come le confinanti Albania e Croazia. Sul sito della Nato, questo invito è tuttavia definito “un risultato storico, che rafforzerà la sicurezza del Montenegro, i Balcani Occidentali e la Nato”. Ci si può chiedere da dove venga l’eventuale minaccia alla sicurezza montenegrina e l’unica possibilità è data dalla Serbia, da cui il Montenegro si è staccato nel 2007 e al cui interno i serbi sono quasi il 30%.
Circa i rapporti serbi con la Nato, occorre ricordare che furono i bombardamenti della Nato, cui partecipò anche il governo D’Alema, nel 1999 a portare alla separazione del Kosovo dalla Serbia. Da un lato fu così frenata la pulizia etnica condotta dal governo serbo di allora, ma dall’altro si creò il problema dei serbi rimasti nel Kosovo indipendente e delle repressioni nei loro confronti. Lo scorso aprile è stato raggiunto un accordo tra i governi di Pristina e Belgrado che prevede una maggiore autonomia per i serbi del Kosovo del nord, ma questi accordi sono fortemente contestati dall’opposizione kosovara, che ha perfino utilizzato ripetuti lanci di lacrimogeni in Parlamento. Anche la prospettiva di un accordo con il Montenegro per la soluzione di controversie sui confini viene boicottata dalle opposizioni.
Tra Serbia e Russia esistono, invece, rapporti storici e anche attualmente sono in corso importanti accordi di collaborazione in vari campi: non stupisce perciò la reazione rabbiosa di Mosca alla dichiarazione Nato. Lo scorso luglio, peraltro, il presidente dell’Europarlamento Martin Schulz, in visita a Belgrado, si augurava di poter aprire negoziati per l’adesione della Serbia all’UE entro la fine di quest’anno. Schulz parlava del ruolo essenziale della Serbia per costruire ponti, con chiaro riferimento ai rapporti tra Unione Europea e Russia.
La mossa della Nato sembra, quindi, sostanzialmente inutile e pericolosa, almeno in questo momento, e non serve certamente all’Europa. Potenzialmente ancor più pericolosa è la dichiarazione della Nato, venerdì scorso, di voler mandare nelle prossime settimane un “pacchetto” di aiuti militari alla Turchia che, secondo la Reuters, comprenderebbe aeroplani dotati di sistemi di sorveglianza a largo raggio (Awacs) e un’aumentata presenza navale, fornita da Germania e Danimarca. Anche la Spagna dovrebbe partecipare, schierando batterie di missili Patriot lungo il confine tra Turchia e Siria, zona dalla quale Germania e Usa hanno recentemente ritirato i loro.
Tre giorni dopo, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, nel suo messaggio di fine anno ai militari dell’organizzazione ha affermato che “La Nato non cerca il confronto con nessuno, ma che rimane pronta a difendere tutti gli alleati da ogni minaccia”. Nel caso specifico della Turchia, dati i rapporti molto tesi con la Russia, è francamente difficile non vedere in quest’ultima la possibile minaccia. Tuttavia, Stoltenberg ha dichiarato alla Reuters che queste misure sono rivolte a prevenire incidenti come quello dell’abbattimento del cacciabombardiere russo da parte dei turchi e non ci sono ragioni per non credergli. La stessa Reuters segnala che anche tra i diplomatici Nato, la Turchia viene definita come troppo aggressiva e dalle dichiarazioni traspare il timore di non riuscire a spingere la Turchia ad agire più attivamente contro l’Isis e al contempo indurla a trovare un accordo con i curdi e a non far precipitare la situazione con la Russia. Si potrebbe perfino sperare che l’obiettivo di fondo dell’iniziativa sia realmente porre sotto controllo le reazioni della Turchia e che vi sia un qualche tacito accordo a tal proposito tra Nato e Russia, che è bene ricordare hanno una istituzione di raccordo tra loro data dal Nato-Russia Council, istituito nel 2002 in sostituzione di un precedente istituto del 1997.
Rimane comunque non irrilevante il pericolo di un incidente che porti ad una disastrosa deflagrazione, pericolo non limitato al Medio Oriente. Nella campagna elettorale statunitense stanno emergendo posizioni che tendono a vedere nella Russia il principale nemico e inevitabile un ritorno alla guerra, fredda ma non solo. Lo stesso Obama sembra essere animato da una palese ostilità verso Mosca, o forse verso il solo Putin, ma lo scenario non cambia. Spesso, nell’atteggiamento degli americani gioca la lontananza del nemico, per esempio verso l’estremismo islamico, nonostante la tragica esperienza dell’11 settembre: il Medio Oriente è alle porte dell’Europa, non degli Usa. Sarà bene che gli americani si ricordino che lo Stretto di Bering, che separa l’Alaska, già russa, dalla Siberia, è largo solo una novantina di chilometri. E che il “generale gelo” è stato sempre un grande alleato dei russi, a partire dai tempi di Napoleone.