La buona notizia è che il primo turno delle elezioni presidenziali in Ucraina si è svolto, secondo la formula di rito internazionale, in maniera “corretta e libera”. Lo hanno dichiarato anche i tecnici del Consiglio d’Europa, osservatori imparziali di questa tornata elettorale.
Un grande passo in avanti rispetto al caos politico che si scatenò dopo le ultime elezioni, quelle del 2004, finite con accuse incrociate di brogli ed annullamento del turno di ballottaggio. Da allora, Kiev è rimasta sospesa in un limbo politico-diplomatico, incompatibile con la propria posizione geopolitica, che ne fa un Paese di transito per le ingenti risorse in gas dirette dalla Russia verso l’Europa.
Sei anni fa le posizioni in campo erano evidenti. La futura primo ministro, Yulia Timoshenko, considerata più vicina alle simpatie di Mosca e propensa a flirtare con quella rivoluzione arancione di cui pochi si ricordano oggi ma che in quelle settimane rappresentò un motivo di mobilitazione culturale, prima che politica, che coinvolse diversi Paesi limitrofi e l’intera comunità internazionale. Dall’altro lato, il Presidente uscente Yushenko, escluso oggi già al primo turno, lui sì campione all’epoca della Orange revolution.
Quell’anelito è saltato completamente e a sfidare la bionda Yulia ci sarà il filo russo Viktor Yanukovic, dato in testa in tutti i sondaggi già alla vigilia del voto e che si è assicurato il turno di ballottaggio con oltre il 35 per cento delle preferenze. Si tornerà a votare il 7 febbraio.
L’esito finale non è irrilevante. Soprattutto per almeno due capitali: Bruxelles e Mosca. L’Unione europea ha bisogno disperatamente di un’Ucraina in grado di gestire le ricorrenti querelles sul prezzo del gas russo in transito verso i terminal occidentali; allo stesso modo, l’Ue sa che un’alleanza servile tra Kiev e Mosca rappresenterebbe, di fatto, la capitolazione negoziale definitiva per la capacità europea di scucire prezzi vantaggiosi per le forniture di gas.
La realtà è che entrambi i candidati alla poltrona presidenziali non sono nei fatti distanti dal Cremlino.
La Timoshenko ha collaudato, in qualità di primo ministro uscente, un rapporto di collaborazione con Medvedev; mentre, tradizionalmente, Yanukovic è più vicino alle posizioni di Putin.
L’incrocio non è irrilevante nella misura in cui, a dispetto delle immagini idilliache di scorribande invernali sulla neve, i due pretendenti al potere in Russia non sono in sintonia perfetta e, presto o tardi, le rispettive posizioni verranno fuori con maggiore virulenza, quando si tratterà di cercare una conferma al potere.
In tale scenario, l’unico spettatore alla finestra rimane proprio l’Ue, incapace di incidere sullo scacchiere della sicurezza energetica a causa delle sue divisioni. Un tema, quello degli approvvigionamenti, verso il quale i governi procedono in ordine sparso, laddove servirebbe una voce unica per incidere diplomaticamente e politicamente.