Le cosiddette “Primavere arabe” hanno portato alla luce un’enorme energia, soprattutto giovanile, che ormai pretende standard minimi di libertà, dignità e giustizia sociale opponendo un doppio rifiuto sia verso inossidabili e corrotti regimi dittatoriali, sia nei confronti di superate divisioni ideologiche, etniche e religiose su cui a lungo hanno speculato tutti coloro che volevano mantenere lo status quo. Senza interpretare e dare vere risposte a queste richieste che hanno unito trasversalmente esponenti di tutte le classi sociali, delle componenti religiose e delle diverse generazioni, nessuno potrà arrogarsi qualche credibilità. I tentennamenti dell’amministrazione Usa e il velleitario intervento prospettato dall’Alto commissario Onu Navi Pillay nelle vicende egiziane dimostrano un’impressionante inadeguatezza rispetto alla posta in gioco.
Lo stesso Morsi sta pagando un dilettantismo politico stupefacente: proponendo un proprio candidato alla presidenza dell’Egitto (cosa su cui metà del Movimento non era d’accordo) i Fratelli musulmani hanno contribuito alla spaccatura del paese, dopo aver visto anche defezioni ed epurazioni al loro stesso interno, perdendo per strada alcuni dei propri migliori rappresentanti e accollandosi l’intera responsabilità di una situazione economica (ma non solo) pesantissima che sarebbe stato più saggio condividere con altre forze politiche, soprattutto all’indomani di una sollevazione che non erano stati loro ad innescare e a cui si sono uniti solo in un secondo momento. Vincitori scontati nel confronto con Shafiq (troppo vicino al recentemente abbattuto Mubarak), hanno finito per infilarsi nel tunnel di un’involuzione autoritaria insostenibile, tanto più se sorretta da un “discorso religioso” che risale come genesi agli anni 30 del secolo scorso e ha ancora come punti di riferimento pensatori del periodo nasseriano e post-nasseriano.
Da un movimento che ha sopportato la repressione di vari regimi per tanti anni e si è spesso impegnato anche in opere di solidarietà a favore dei più disagiati ci si attendeva qualcosa di più… ma una cultura di governo, dopo aver giocato solo all’opposizione (con qualche deragliamento in forme di lotta armata), evidentemente non s’improvvisa. L’Egitto è ancora un paese fortemente musulmano, ma non è mai stato un buon candidato a divenire uno Stato islamico e oggi lo è meno che mai, visto il risveglio di componenti della società civile che per decenni sono state eclissate dal confronto tra regime e opposizione islamista.
Anche la tragica impasse siriana e le persistenti difficoltà in Tunisia e Libia rivelano quanto poco si sia disposti a fare i conti con una situazione totalmente nuova, che richiederebbe ben altre prospettive a medio-lungo termine.
Non è l’islam in quanto tale, ma un certo modo d’intenderlo ad essere incompatibile con la democrazia, il cui contrario non è però automaticamente la teocrazia (come si ostinano a dire troppi improvvisati esperti): il vero rischio per l’islam sunnita è quello del cesaropapismo, ossia l’uso strumentale della religione da parte delle istituzioni, che ha avuto un’impennata proprio con la nascita degli Stati nazionali moderni e ha danneggiato sia la fede che la politica portando progressivamente al disastro attuale. Le premesse per una nuova fase che si lasci alle spalle ormai datate contrapposizioni non mancano, anche se la crisi economica mondiale non gioca certo a favore.
Anche l’Italia del secondo dopoguerra era esausta e sull’orlo di una guerra civile: un’ottima costituzione il più ampiamente condivisa e il boom economico dei decenni successivi ci hanno consentito di voltar pagina e nuove forze politiche come la Dc hanno saputo interpretare l’identità cattolica italiana in modo compatibile con la modernizzazione dello Stato. Il muro contro muro che troppi fomentano nei paesi arabi da poco risvegliati allontanano questa prospettiva a danno di tutti, e in particolare chi scherza col fuoco del settarismo (sunniti vs. sciiti, musulmani vs. cristiani ecc.) farneticando di un nuovo Medio oriente ridisegnato lungo faglie confessionali e comunitariste si assume responsabilità che non esiterei a definire “criminali”.