Quando si arriva da un paese ricco, come l’Italia, ad uno in via di sviluppo si ha l’impressione di andare indietro nel tempo di diversi decenni. Muovendosi tra paesi con poveri redditi pro capite, non si percepiscono grandi differenze. Fino a che non si approda nel sud del Sudan. Una terra che dalla sua decolonizzazione nel 1956, è stata praticamente sempre in guerra. Uno scontro, tra l’elite araba dominante e le decine di tribù nilotiche che si sviluppano a meridione delle montagne di Nuba, terminato nel 2005 con il trattato di Nairobi.
Come tutte le guerre, non può che essere sporca e ingiusta. Macchiata dall’avidità di tanti alleati che nel Sud Sudan hanno sempre cercato l’oro nero. Eppure combattuta dai sudisti con autentico e genuino desiderio di uguaglianza, giustizia e dignità. Anthony mi prende per mano per raccontarmi la sua apartheid sconosciuta, le umiliazioni e i soprusi subiti dagli arabi del nord. Ne parla come un coniuge esausto, che ha deciso di andarsene di casa. Questa separazione è un brillante traguardo di pace, eppure per me ha il sapore del fallimento, due popoli, due fedi che, per ora non hanno ancora imparato a convivere e trarre ricchezza dalle loro rispettive differenze.
Le realtà urbane sono pochissime. Il 90% della popolazione vive in remotissimi villaggi per lo più inaccessibili persino agl’inarrestabili Land Cruiser. Le popolazioni vivono isolate, nutrendosi con quello che riescono ad avere dalla terra e dal loro bestiame. Storicamente, gli scarsi mezzi per sostenere la propria vita, hanno generato violente competizioni per le risorse che si manifestano tutt’ora con gli strumenti devastanti che la guerra ha lasciato dietro di se. Cosi le vacche che prima si razziavano con arco e frecce ora si razziano con gli efficienti AK-47. Le ferite che queste armi hanno portato non sono più sanabili con i tradizionali rituali di pace e cosi gli anziani scuotono la testa di fronte ad una violenza che non vuole saperne di fermarsi.
Il nove di luglio il Sud Sudan diventerà una Repubblica indipendente a tutti gli effetti. AVSI lavora in due dei dieci Stati federali che lo compongono – Central e Eastern Equatoria – collaborando con autorità e comunità locali per fornire servizi di base: educazione, salute e acqua.
Qualche giorno fa, accompagnavo la nostra equipe medica per prestare servizi ospedalieri a uno dei tanti villaggi privo di qualsiasi servizio sanitario nel raggio di km. Sulla strada incontriamo degli uomini che trasportano una rudimentale barella. Ci fermiamo. Gli uomini appoggiano la barella. Una donna partoriente cerca di alzarsi. Cade priva di sensi al suolo. Sta morendo dissanguata. La radio non funziona. Sospendiamo il programma e mentre la nostra ostetrica Felicity fa il possibile per far sopravvivere Marcellina e il suo bambino facciamo ritorno alla base. AVSI ha costruito il proprio ufficio a fianco all’ospedale St. Theresa che da più di sei anni supporta attraverso strumenti medici, salari, medicine e costruzioni edili.
La donna riesce a partorire e l’emorragia viene fermata. Il bambino è vivo e sta bene. Rifletto, su quante donne attorno alle montagne di Isohe, non sono cosi fortunate come Marcellina. Lei ha potuto raggiungere l’ospedale e non ha avuto bisogno di interventi chirurgici. Se avesse necessitato un taglio cesareo, avremmo provato a trasferirla in Uganda a cinque ore di fuoristrada. Per questo AVSI sta lavorando affinchè il St. Theresa Hospital possa aprire una sala operatoria al più presto.
A qualche decina di Km da Isohe, stiamo anche costruendo due centri sanitari periferici. Inoltre offriamo corsi per ostetriche e operatori sanitari in ogni villaggio in modo da fornire alla popolazione locale un luogo più sicuro dove partorire e dove ricevere il trattamento per le malattie più semplici: malaria, tifo e diarrea.
Nello stato dell’Eastern Equatoria, secondo dati di UNHCR, solo un bambino su tre è iscritto a scuola e tra costoro più del 60% sono maschi. Per affrontare l’emergenza educativa stiamo costruendo e ristrutturando quattro scuole e più di cinquecento bambini , grazie al sostegno a distanza di AVSI, possono andare a scuola.
Il Sud Sudan a causa della diaspora causata dalla lunghissima guerra, soffre anche di una grave mancanza di risorse umane. Ecco perché a Juba abbiamo deciso di lavorare con la St. Mary’s University, per la creazione di un corso universitario di scienze dell’educazione primaria, uno di scienze riabilitative e uno per assistenti sociali. In modo da poter contribuire ad aumentare il numero di insegnanti qualificati la cui presenza – da queste parti – e’ di uno ogni 108 bambini. L’università la stiamo sostenendo anche con l’aiuto della campagna Tende.
Non solo sanità ed educazione. I profughi che ritornano dal Nord alle proprie case nel Sud hanno bisogno di tutto. Ecco perché AVSI organizza l’accoglienza, fornendo anche oggetti di prima necessità. Insieme a loro, poi, cerchiamo di costruire cose semplici e basilari che servono per ritornare ad una vita normale. Come le latrine altrimenti inesistenti, ma necessarie per prevenire la diffusione di malattie. Inoltre, nel corso di quest’anno costruiremo anche dieci pozzi in modo da aumentare l’accesso a fonti di acqua potabile.
Il Sud Sudan è una nazione al primo stadio di vita. Come ogni neo nato ha di fronte a se le più grandi potenzialità. Nonostante la povertà estrema, l’assenza di infrastrutture e i contrasti è elettrizzante sentire l’entusiasmo di un popolo che freme per costruire la propria Nazione. Questa nuova repubblica ha la possibilità di cominciare da zero con la consapevolezza delle lezioni apprese dagli altri stati africani.
AVSI come ONG ha la responsabilità di prestare il proprio lavoro in maniera collaborativa al fine di costruire con successo quelle condizioni necessarie affinché i sud sudanesi possano plasmare uno Stato equitativo e meritocratico grazie al quale il mercato possa finalmente diventare protagonista di uno sviluppo che deve essere sostenuto dalle forti spalle dei propri cittadini. Senza gli sgambetti che i troppi aiuti umanitari hanno spesso teso a tanti stati africani.
Mentre scrivo, i bambini della scuola elementare qui a fianco non smettono di cantare il nuovo inno nazionale, l’atmosfera è bellissima e piena di allegria. Come recita l’inno, che questa nuova nazione continui il suo cammino in pace, giustizia e armonia. (auguro una buona strada) Buona Strada alla Repubblica del Sud Sudan!
(Gabriele Erba, cooperante AVSI in Sud Sudan)