Caro Direttore,
In fondo in fondo, non ci avevo mai creduto. Dentro il mio cuore avevo sempre tacciato di troppa partigianeria chi diceva che in Israele si commettevano di frequente violenze. Anzi, spesso davo la colpa di alcune esagerazioni a un eccesso di zelo, forse dovuto a una paura che – alla fine – ritenevo quasi giustificata.
Fino a qualche giorno fa. Perchè è facile riempirsi la bocca di parole che non ti fanno ribollire il sangue, ancora di più quando una causa o l’altra entrano a pieno diritto in un dibattito diviso tra intellettuali conservatori e pensatori radical chic. Ma quando succede qualcosa a un tuo amico, a una persona che rispetti e a cui magari vuoi bene, non puoi rispondere con una teoria. O, peggio ancora, stare zitto. Per questo motivo ho deciso di scriverle.
Dicevamo. Proprio ieri un mio caro amico, italiano e incensurato che sta svolgendo un esperienza di volontariato in Terra Santa, si dirigeva verso il suo ufficio di Gerusalemme di buon mattino per andare al lavoro. I turisti affollano già dall’alba i suk intasati della città vecchia e le misure di sicurezza, in questo momento particolare, non sono mai troppe. Ecco che nei pressi della porta di Jaffa, controllata sempre da alcuni poliziotti israeliani, Stefano (nome di fantasia ndr) si accorge subito delle attenzioni che gli vengono rivolte.
Dopo pochi passi viene bloccato da due agenti che gli intimano di fermarsi. Subito gli chiedono – senza motivo e con la faccia di chi si avvia convinto verso un reo confesso – se abbia con sé della droga. E’ una domanda che i poliziotti rivolgono spesso ai ragazzi arabi, più per dar fastidio che per ragioni serie e motivate. Si tratta semplicemente di controlli a campione, che questa volta sono capitati a un ragazzo italiano con il viso forse un po’ troppo scuro. Alla risposta quasi divertita del mio amico, che nega con forza un’accusa di cui non si capacita, un agente gli indica di seguirlo in un bagno pubblico. Con l’altro agente che rimane sotto a far la guardia per controllare che non salga nessuno e permettere al collega di agire indisturbato.
E questo “è l’inizio della parte lacrimogena e direi tragica della storia o compagni e rari amici”. Mi perdonerà Kubrick se rubo una frase del suo “Arancia Meccanica” e la riadatto per questo contesto, ma dopo averlo squadrato dalla testa ai piedi il poliziotto israeliano gli urla di togliersi pantoloni e maglietta, e Stefano – credendo di trovarsi di fronte alla normale routine di un sistema che vive con la costante paura di trovarsi attaccato da tutto e da tutti – esegue gli ordini. Rimane in mutande. L’agente comincia a urlargli in ebraico per metterlo a disagio, e convincerlo a costituirsi. Non avendo nulla da confessare, la perquisizione va ancora oltre quelli che dovevano essere normali controlli per garantire la sicurezza.
“Anche le mutande!” Gli urla questa volta in un inglese stentato. Evidentemente aveva la necessità di farsi capire. La faccia di Stefano cambia completamente. Non riesce a capire dove vuole arrivare. Le leggende che circolano da queste parti non gli fanno sperare nel meglio. Ma non perde la calma, soprattutto in una situazione dove il tutto può degenerare in un attimo. Cerca di richiamare il poliziotto alla ragione: “It’s enough”, è abbastanza – gli dice – e dopo aver ancora ribadito di non aver droga con sé cerca di uscire. L’agente, che forse si è convinto o in qualche modo si è accorto di aver abbondantemente passato i limiti della legalità, lo lascia andare.
In un paese vittima di un conflitto senza spiragli di pace, può accadere che per eccesso di zelo le autorità possano fare a meno della dovuta cortesia. Ma qui ci troviamo di fronte ad un palese violazione dell’intimità della persona, che come in altri casi viene ignorata dalle autorità competenti. Siamo costretti a guardare passivamente a continue a storie di ordinaria follia che chiunque può vivere a Gerusalemme. Un copione simile per tutti, arabi o italiani. Perchè anche arrivare in tempo a timbrare il cartellino può diventare un’impresa, se qualcuno con un distintivo si è svegliato male alla mattina.
(Lettera firmata)