Da quando ho sentito, all’inizio dell’Avvento, questa citazione non riesco più a togliermela dalla mente: “Durante la loro attesa, il vecchio mondo romano aveva compiuto prodigi di abominio, opposte ambizioni s’erano fatte guerra, la terra s’era inchinata allo scettro di Cesare Augusto. La terra non s’era ancora accorta dell’importanza di ciò che si compiva in lei. Stordita dai rumori di guerre e discordie, non si è accorta di una cosa importante che avveniva: era il silenzio di coloro che aspettavano nella profonda solennità del desiderio… Questo silenzio era un’autentica azione… Mentre Ottaviano e Antonio si disputavano l’impero del mondo, Simeone ed Anna aspettavano. Chi tra essi agiva di più?”.
Possiamo cambiare nomi e luoghi ma è così anche oggi. E’ proprio così anche in questo piccolo paese nel centro, come fosse il suo cuore, dell’Africa, che da diversi mesi vive nell’incertezza, come sempre sull’orlo di una catastrofe, classificato come il paese più povero del mondo. Ci sono dei fine settimana di fuoco, nel vero senso della parola in alcuni posti, specie nella capitale, mentre in altri la vita continua come se ci si trovasse in un altro paese. Dove sono io, nel nord, tutto è apparentemente tranquillo, non si parla molto, ma il lavoro continua, i momenti di festa sono sempre cercati ed amati come il bere la birra insieme. Ma nel fondo del cuore la gente ha paura. Controllano anche i messaggini sul cellulare, spesso i giovani cambiano posto dove passare la notte.
Ma qui c’è qualcuno che attende ed io scopro che non è uguale a niente, che è questa attesa la vera azione che salva il mondo.
Mi dicevano dei giovani amici che quando si incontrano la domenica per riprendere insieme delle meditazioni e riflettere sulla vita, più che le cose che si dicono è il ritrovarsi stesso che dà loro speranza. Come i primi cristiani nelle catacombe. Sostiene anche me il guardare a loro, al loro stupore nello scoprire che il punto che da consistenza alla loro vita non è quello che sono, hanno o fanno, ma il loro valore c’è perché ci sono, esistono.
C’è questo Bambino, che coscienti o meno attendiamo, e che viene oggi nell’umanità povera, martoriata come la nostra, ridonando freschezza a me e rendendomi certa. Questa terra non si accorge di ciò che sta accadendo, pensa che sia altra la pace da costruire con strategie politiche o di guerra, ma è salvata perché ci sono loro, “i miei ragazzi”.
Nell’ospedale dove lavoro questo Bimbo piccolissimo viene ogni giorno tra noi, facendosi carne in quei piccoli neonati, quasi suoi coetanei, simili a Lui. Nascono, magari per la strada e poi arrivano da noi in ospedale avvolti nei panni colorati che sono i vestiti delle mamme, a volte togli gli strati di stoffe per trovare il piccolo avvolto dentro e lo trovi morto per il freddo.
No, non si può proprio dire che il mondo è lo stesso. Nella neonatologia abbiamo una sola incubatrice funzionante, quando manca l’elettricità la mamma sa già che deve togliere il piccolo, magari di un chilogrammo, e metterselo sul seno, la mamma-canguro, il modo migliore per riscaldarlo col calore del corpo e l’amore di mamma. Guardando questi piccolini non si può non pensare a quel Natale che ha cambiato la storia, non molto diverso dal mio natale quotidiano.
Spesso penso a quella bella poesia di Eliot, “Il Viaggio dei Magi”, quando dice “ci trascinammo per tutta quella strada per una Nascita o una Morte?”.
Come è successo un giorno, quando ci hanno mandato da un altro ospedale un neonato di poche ore con una grave malformazione all’encefalo. Il piccolo respira, piange, si fa fatica a tenerlo in braccio per la grossa massa. La letteratura dice su casi simili che se anche fosse possibile l’intervento neurochirurgico (qui non se ne parla!) le possibilità di sopravvivenza sarebbero bassissime. Questo mi consola un po’, se così si può dire, perché spesso si potrebbe fare qualcosa altrove, ma qui non ci sono mezzi ed ogni giorno si fa esperienza del proprio limite. Allora cerco di spiegare alle infermiere, e poi alla mamma, che anche se non lo si può guarire è un bambino che ha bisogno di affetto, di cure, come qualche goccia di glucosata, ma non serve traumatizzarlo con flebo, iniezioni, cateteri vari che sembrerebbero i “veri” interventi. Chiediamo alla mamma se desidera battezzarlo, la mamma acconsente e sceglie il nome “Salvatore”. Chissà se ha veramente coscienza del nome dato. Questo piccolo è il nostro Salvatore. Ci ricorda che la vita non ce la diamo noi, non dipende da noi.
Così “Salvatore” riceve il battesimo nella “chiesa” che è la nostra neonatologia, con il popolo delle mamme intorno perché il battesimo consola, rappacifica e spesso accade che le altre mamme che sono sedute ad allattare i loro bambini in coro sommesso si aggiungano alla preghiera.
Dopo due giorni è ancora vivo. La mamma dice: cosa faccio qui?, vado a casa. Vedo che la mamma se lo tiene come terrebbe qualunque bambino normale, non fa molti ragionamenti su patologie, prognosi, terapie. Per portarlo a casa ha solo i suoi stracci che servono da gonna, scialle quando fa freddo, allora cerco, tra le cose che ho portato nella valigia, dono delle nostre mamme o lavoro delle nostre nonne, un cappellino un po’ grande, che possa contenere la testa del bimbo, poi vado a cercare la copertina nel mio studio. Ho una scorta di copertine che di solito do alle mamme che hanno i gemelli perché è difficile avere i vestitini per due.
Mentre vado, penso che forse una nuova è un po’ sprecata perché poi il piccolo morirà. Ma all’improvviso mi viene in mente quello che avevo appena cercato di spiegare alle infermiere ed alla mamma, che anche lui è una persona, che deve vivere bene per il tempo che gli è dato. Allora prendo la copertina più bella, bianca. Torno. Avvolgiamo il piccolo con la copertina bianca ed il cappellino di pile. Sembra il Gesù Bambino della Natività di De La Tour, col visino di cera. La mamma sorride, l’infermiera dice: è bello. Così Salvatore va a casa con la sua mamma, collaborando all’opera del più grande Salvatore.
Così vorremmo dire a tutto il mondo che qualunque cosa accade è Lui che la fa accedere per me, per le mie mamme, per le infermiere, per i miei ragazzi.
Il nostro piccolo gruppetto di scuola di comunità aumenta ogni giorno. Ad ogni nuovo che arriva uno dei ragazzi cita una canzone che abbiamo ascoltato ed imparato. Aconteceu: “Accadde quando nessuno lo aspettava, accadde senza suono di campane, accadde diversamente dalle storie che i romanzi ci raccontano abitualmente. Accadde senza che ci fossero stelle in cielo, accadde senza un raggio di luna. Il nostro amore è arrivato molto dolcemente, si è sparso molto lentamente, si è attardato fino a rimanere. Accadde senza che il mondo ringraziasse, senza che le rose fiorissero, senza un canto di lode, accadde senza alcun dramma. Il tempo ha solamente fatto il suo letto come in ogni grande amore“.
Anche lui, l’ultimo arrivato, si attarderà fino a restare, nella nostra piccola compagnia.
I ragazzi cantano benissimo. Io sono solo la segretaria del coro, visto che sono stonata, cerco le canzoni, parole e musica, le faccio ascoltare, loro imparano velocissimi. Sono un raggio di sole che entra nel cuore e fa abbracciare con più leggerezza tutte le provocazioni belle e brutte quotidiane.
Non sono i fatti e le notizie che passano di bocca in bocca più che sapute dai mezzi di comunicazione sotto controllo, non il potere, l’opposizione, la guerra, la pace, che fanno la storia, ma sono loro, “i miei ragazzi”, “le mie mamme” il vero inizio del cambiamento di un paese che ha bisogno di scoprire che non siamo divisi tra buoni e cattivi, ma siamo un popolo salvato dalla Sua Misericordia.
La vita è così: la paura dell’incognito, dell’essere ricercato, ammazzato, un piccolo che se ne va, per la nostra incapacità o perché Lui lo ha amato tanto che lo ha voluto subito per Sé? Perché era simile a Suo Figlio? O la bellezza di un canto, la gratitudine di un volto amico, uno che ti dice: quando torni? ho nostalgia di te.
Così nell’essenzialità della vita africana, anche noi attendiamo sostenuti continuamente dalla compagnia di coloro che questo Dio fatto Uomo ha messo accanto a noi nel tempo, nello spazio e nel profondo del cuore.