Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è irritato per la crescente presenza di iraniana in Siria. Perciò si riserva il diritto di “effettuare bombardamenti nel sud della Siria per costringere a osservare gli interessi israeliani”. La richiesta israeliana — comunicata la settimana scorsa dal ministro della Difesa Avigdor Lieberman — è la creazione di una zona cuscinetto di 50 km di larghezza, dove le truppe iraniane e i loro alleati non possano accedere. Ciò però confligge con l’accordo sottoscritto tra Stati Uniti, Russia e Giordania che prevede una zona cuscinetto di soli 30 km a ridosso dei confini.
Detto così — come del resto è riportato dalla maggior parte dei media — il dissidio sembrerebbe solo di natura tecnica, quindi superabile, magari dietro reciproche concessioni. Ma così non è. La questione nasconde un comportamento assai ambiguo e contorto: da una parte Israele reclama la propria sicurezza, ma dall’altra mantiene a ridosso del confine del Golan forze irregolari ostili a Damasco. Le varie forze ivi presenti sono quelle appartenenti al Free Syrian Army (Fsa), ma soprattutto al gruppo Hay’at Tahrir al-Sham (Hts, affiliato ad al Qaeda e inserito nelle lista delle formazioni terroristiche) e infine al gruppo “Jaish Khalid Ibn Walid”, affiliato ad Isis.
Quindi accade che i gruppi terroristi ed Fsa hanno il nulla osta di Israele per permanere in zona mentre, paradossalmente, ciò è precluso agli alleati sciiti di Damasco. Si capisce bene che in queste circostanze anche un puntiglioso rispetto delle condizioni poste da Tel Aviv non basterebbe a risolvere la vicenda. La questione non si esaurisce in una diatriba di confine: in sei anni Tel Aviv ha effettuato più di un centinaio di raid aerei che hanno colpito (anche in profondità) convogli di munizioni, installazioni, depositi militari, fabbriche necessarie allo sforzo bellico, personale militare. In tutti i casi, la giustificazione dello stato ebraico è stata sempre quella della “legittima difesa”, quando in realtà non è stato mai attaccato. Ciononostante anche la settimana scorsa il capo di stato maggiore israeliano Gadi Eizenkot ha ribadito che il problema per Israele resta l’Iran ed i suoi alleati. L’alto ufficiale ha infatti affermato che “il piano dell’Iran è controllare il Medio oriente attraverso l’Iraq, la Siria ed il Libano”. Ha inoltre aggiunto che le affermazioni che Israele supporterebbe il gruppo terroristico Hts e Isis “sono solo chiacchiere”.
Ma la realtà dei fatti confligge con tale osservazione in più punti. Tanto per iniziare, dopo la Guerra dei sei giorni, Israele si è impadronito delle alture del Golan, ricche di risorse. Questa azione è stata peraltro condannata dall’Onu con la risoluzione 2178 del Consiglio di sicurezza. Ma venendo ai nostri giorni, ciò che è più grave è che quelle che il capo di stato maggiore chiama “chiacchiere” sono invece la pura e sacrosanta verità: Tel Aviv non solo tollera a ridosso dei propri confini le forze terroristiche islamiste, ma le appoggia direttamente. L’esercito israeliano (Idf) non solo ignora i terroristi ma fornisce loro logistica, equipaggiamenti, munizioni, supporto sanitario ed in alcuni casi dispensa il salario (Wall Street Journal).
Tutto ciò è abbondantemente provato: esiste un dettagliato rapporto stilato nell’arco di 18 mesi dalle forze di mantenimento della pace dell’Onu (Undof) dislocate nelle alture del Golan occupate. Nel report viene descritto chiaramente che l’esercito israeliano ha avuto “contatti regolari con i ribelli siriani, compresi i militanti dello stato islamico” (vedi qui e qui). Queste collaborazioni sono state documentate finché le forze Onu non sono state cacciate nel 2014 perché testimoni scomodi.
Da quel momento in poi, nella fascia demilitarizzata del Golan, Hts trova un porto sicuro precluso all’esercito siriano. Queste circostanze sono ulteriormente chiarite da testimonianze oculari e inchieste giornalistiche: ad esempio, il Wall Street Journal, nell’articolo “Al Qaeda a Lesser Evil? Syria War Pulls U.S., Israel Apart” riferisce che Israele ha curato combattenti feriti di al-Nusra e poi li ha rimandati nel Golan per combattere Hezbollah e l’esercito siriano. Inoltre, “una certa collaborazione con Isis” è stata testimoniata da Bogie Yaalon che è stato ministro della Difesa israeliano fino al 2016. Anche il Washington Post ha menzionato un accordo tra Israele e Hts e Vice News nel dicembre 2015 ha pubblicato un video dove si vedono miliziani qaedisti feriti che vengono trasportati in un ospedale israeliano da Idf. Ed ancora: l’aiuto ai jihadisti feriti è stato ammesso anche dall’ex capo del Mossad Efraim Halevy nel 2016 in una trasmissione televisiva di al Jazeera.
Le azioni di guerra di Tel Aviv comprendono una vasta gamma di interventi come gli attacchi aerei contro Hezbollah, compreso l’omicidio mirato di comandanti iraniani e di Hezbollah. In questo senso ci sono molte evidenze come — ad esempio — l’intervista del Wall Street Journal a Moatasem al-Golani, portavoce del gruppo ribelle Fursan al-Joulan o “Cavalieri del Golan” che dice “Non saremmo sopravvissuti senza l’aiuto di Israele”.
Quindi è evidente che Israele non è preoccupata per la propria sopravvivenza ma ha messo in atto un piano di destabilizzazione della Siria, alla pari degli altri mandanti delle forze proxy jihadiste.
Se infatti l’esigenza morale assoluta per Israele fosse quella della propria autodifesa, non precluderebbe a nessun altro stato il diritto di difendere il proprio paese né tanto meno rafforzerebbe i terroristi nel tentativo di sopprimerlo.