A Soci si gode un clima meraviglioso per un russo e delizioso per tutti gli altri abitanti del mondo:la temperatura oscilla tra i 6 gradi invernali e i 23 estivi, com’è tipico delle basse latitudini, le montagne innevate riparano dal freddo e le acque del Mar Nero – calde e sempre tranquille – consentono un microclima che favorisce la coltivazione del tè e dell’uva. In questa città, ch’era meta di schiere di famiglie operaie che soggiornavano nelle case di riposo delle loro fabbriche, spesso nei palazzi di antiche residenze nobiliari, in questo monumento permanente ai tratti operai dello stalinismo, Angela Merkel ha incontrato Putin per discutere d’Iran, del gasdotto Nord Stream 2 ,dell’Ucraina e della Siria.
È stato un incontro importante, dopo il nulla di fatto dei colloqui di un anno or sono sul conflitto in Est Ucraina e sulle chiacchierate interferenze russe nelle elezioni europee. Oggi il quadro internazionale è profondamente cambiato per le sanzioni di Trump all’Iran, che si sono aggiunte a quelle preesistenti alla Russia. La protezione delle imprese tedesche e delle imprese e delle personalità della business community russa sono state in cima all’agenda dei colloqui, così come le misure possibili contro le sanzioni alle compagnie che lavoreranno al gasdotto Nord Stream 2, che porterà il gas russo in Germania passando per il Mar Baltico. Le proposte che si dice Trump abbia fatto alla Merkel (abbandonare il progetto del nuovo gasdotto russo in cambio della negoziazione di un accordo commerciale tra gli Stati Uniti e l’Unione europea) non solo sono state rifiutate, ma pare abbiano vieppiù allontanato la Cancelliera e il Presidente.
Il gasdotto è il disvelamento delle faglie che si stanno sempre più creando in una Europa divisa, nei cui pori tanto Trump quanto Putin cercano di porsi, per aumentare le distanze tra gli stati europei. In merito al gasdotto, infatti, Stati Uniti e Polonia non lo vogliono, e sono stati assai preoccupati dalle dichiarazioni per nulla diplomatiche che ha recentemente pronunciato il direttore Matthias Warnig, il quale si è detto pronto a concludere i lavori nella seconda metà del 2019. Warnig ha affermato che ciò che crea ostacoli alla colossale infrastruttura è la «politicizzazione di quello che è solo un progetto commerciale». Erano state dure, del resto, le dichiarazioni pronunciate dall’ex segretario di stato Usa Rex Tillerson durante la sua visita a Varsavia a fine gennaio: «La Polonia e gli Stati Uniti si oppongono al Nord Stream in ragione di comuni interessi strategici», per il fatto che se il progetto fosse giunto in porto avrebbe garantito alla Russia «quella rendita aggiuntiva di miliardi di dollari necessari per finanziare la sua aggressione militare ai confini dell’Europa». In risposta, nell’assoluto silenzio, il governo tedesco aveva dato inizio a fine gennaio 2019 alla costruzione della pipeline con un forte accordo commerciale con Gazprom.
Per i tedeschi, se si legge attentamente la stampa, il problema non è quello sollevato da Tillerson, perché la Russia, con questo accordo, diventa essa stessa ancor più dipendente dall’Europa, con cui avrà sempre più necessità di un solido rapporto, più di quanto l’Europa non dipenda strategicamente dal gas russo, per le alternative possibili sul fronte dei rifornimenti energetici nel Mediterraneo. Ma certamente l’iniziativa mira a far pesare sulla bilancia di potenza il ruolo strategico della Russia sul fronte energetico massimizzando le sue nuove alleanze. Ne è un esempio il Turkish Stream che porterà gas russo alla Turchia, una pipeline di 522 Km, che segna il punto in merito ai nuovi rapporti diplomatici russo-turchi. Ossia con uno dei baluardi del fronte sud della Nato, ora in pericoloso disfacimento dopo la guerre mesopotamiche e il fallito colpo di stato contro Erdogan.
Alla Germania, allora, il compito di fugare, se possibile, le preoccupazioni dell’Ucraina dopo i disastri dei servizi segreti nordamericani in Georgia (e in Armenia?). Compito che solo lo Stato tedesco può svolgere. Con le nuove rotte la rendita sul transito del gas russo si ridurrebbe di 2 miliardi di dollari, ovvero del 2-3% del Pil di una nazione in cui la maggioranza degli oligarchi, vera borghesia compradora, ha fondato le proprie fortune sul transito del gas russo. Gli Accordi di Minsk saranno il punto da cui partire e si tratterà di verificare sino a che punto le tensioni interne alla stessa Germania, con una Baviera sempre più infastidita dalle pressioni francesi per “accelerare” l’Europa e giungere a pratiche di condivisione sempre più estese. Le pulsioni filo-russe sono destinate ad accrescersi anche per bilanciare le pressioni di Macron e per depotenziarne il peso relativo.
Diversa, ma sempre sull’onda di una perdita di centralità dell’asse atlantico-europeo, è la questione iraniana. Berlino e Mosca fanno parte del gruppo “5+1” fautore dell’accordo sul nucleare del 2015 che Trump ha abbandonato con il conseguente allineamento dei firmatari europei (Francia e Germania) con la Russia. Importante sarà il forum economico pietroburghese – assai prossimo – a cui parteciperà Macron. Porre in relazione l’incontro di ieri e le pulsioni francesi sempre possenti per quel che riguarda la Russia sarà fondamentale per capire se, unitamente all’atteggiamento italiano contro le sanzioni, si sta profilando un entente cordiale con la Russia da parte delle potenze industriali europee.
Sarebbe un evento denso di pericoli, perché l’Alleanza Atlantica continua a rimanere la forza archetipale del confronto sempre più imminente con la Cina, sempre più aggressiva e impegnata in una corsa al riarmo di un’intensità mai vista e moltiplicata dal suo minaccioso potenziale demografico. Se consideriamo che la visita della Merkel segue quella a sorpresa del leader siriano alawita Assad, sempre sulle rive del Mar Nero, ben si comprende che quello che caratterizza i nostri giorni è l’attivismo diplomatico russo, a cui fa da contro-canto quello francese di un Macron proteso da un lato al rinnovo concreto del patto franco-tedesco del 1963 e dall’altro di un neo-gaullismo che neppure Chirac aveva sbandierato con così tanta fierezza. Le due cose, del resto, non sono contraddittorie.
Certo è che se al protagonismo russo non si accompagnerà una ripresa dell’azione diplomatica Usa, che è – o dovrebbe essere – cosa diversa dall’abbandono subitaneo di accordi conclusi pochi anni or sono, il mondo non potrà che cadere in una nuova follia shakespeariana. Non possiamo cadere nella disgregazione dell’Occidente mentre il riarmo cinese avanza minaccioso.