Negli ultimi anni era diventato un tabù. Una sorta di lesa maestà, che portava a quello che i greci chiamavano “ostracismo”, ovvero l’essere banditi dal dibattito politico e culturale solo per aver osato accostare l’immigrazione incontrollata esplosa dopo le primavere arabe al rischio di infiltrazione jihadista. Fare questo accostamento significava essere condannati alla vergogna e al ludibrio dell’accusa di xenofobia, o come piace a tanti dire “islamofobia”. A tutti i livelli, ovviamente, che nel frattempo si sono popolati di personaggi votati al buonismo e all’accoglienza indiscriminata, anche a danno di quella parte di migranti che nulla hanno a che fare con l’estremismo.
Faccio una domanda a me stessa: cosa accadrà ora, dopo che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, esponente di spicco del Partito democratico, ha fatto questo accostamento durante il suo intervento al vertice anti-Isis a Londra? Il tabù cadrà? E quei personaggi che fino ad oggi hanno vestito la toga di fustigatori della morale pubblica, cosa diranno? Forse continueranno, usando le parole della mistificazione tanto care ad una certa élite politica italiana, a dire e non dire, a fare e non fare, a barricarsi dietro alla excusatio non petita (che diventa accusatio manifesta) del non dover colpevolizzare tutta l’immigrazione per alcuni gruppi radicali che in essa realisticamente si nascondono.
Il buono e il cattivo, tento di spiegarlo a questi signori come faccio con tanti ragazzi ogni giorno ed evitando cenni di sociologia applicata, esistono in ogni gruppo sociale, e dire che nell’immigrazione essi non coesistano è, oltre che non corretto, pericolosamente fuorviante rispetto ad una realtà conclamata ed evidente a tutti.
A noi che ripetiamo da oltre dieci anni, fino alla noia, che il rischio c’è ed è concreto, subendo ogni sorta di censura e di forzata riduzione al silenzio, certo non suscita un effetto deflagrante sapere che l’infiltrazione jihadista potrebbe annidarsi anche nei flussi migratori; ma comprendo che in una determinata parte politica questo possa creare un certo stato confusionale, una scollatura da ciò che in questi anni era stato imposto come un mantra intoccabile, ovvero che l’immigrazione è tutta buona, indistintamente, come la notte di Schopenhauer, quella “in cui tutte le vacche sono nere”.
Non per noi, che continuiamo a pensare e ad analizzare senza sconti né ipocrisie ciò che accade, non certo ci scuote o ci lascia impreparati ascoltare quella che altro non è se la descrizione di una realtà sociale e umana di cui occorre prendere atto. E si badi bene, veder cadere questo tabù equivale per noi ad un’amara vittoria, perché sappiamo bene cosa si nasconde dietro a quell’infiltrazione e quali rischi essa comporti; e sappiamo bene, per responsabilità verso il nostro Paese, che una semplice presa d’atto significa tutt’altro che aver risolto il problema.
Ci si conceda però di stare per un po’ alla finestra, ad osservare come i solerti censori dei tribunali della morale comune e del politicamente corretto a tutti i costi, tentano di rimodulare il proprio pensiero in virtù delle mutate condizioni. Ma vi prego, l’allarmismo no.