La lettera di Fiammetta Cappellini da Haiti: le scosse non danno pace e sembrano voler scoraggiare la ripresa della vita e del lavoro. Qualcosa però sta ricominciando, anche se nel dolore ancora vivo. Ci vuole fede, ci vuole certezza, mentre i bambini chiedono delle promesse ai più grandi sul futuro e accolgono le cose nuove che arrivano. Così una tenda blu sembra già una casa nuova…
20 gennaio 2010, Port au Prince, Haiti
La giornata inizia con un forte scossone. Sono alla mia postazione di lavoro, in casa mia, ormai anche del mio collega che non ne ha più una e base di Avsi, accogliente verso tutte le persone che passano. Ogni scossa genera sconforto, pensi alla sorte degli edifici pericolanti e sembra che tutto questo non abbia fine.
Più tardi veniamo a conoscenza del fatto che l’epicentro era la zona di Petite Goave, cittadina a sud-ovest di Port Au Prince, sulla strada per il sud. Lì, nel 2008, l’uragano aveva provocato morte e distruzione.
Molto spesso i bambini dormono per terra e così l’allagamento improvviso ha fatto molte vittime tra loro. Per tutto il 2009 abbiamo fatto compagnia a molti ragazzini, con attività educative e ricreative per il superamento del trauma. Ora dovremo riprendere ricominciando da qui, da oggi, dalla nuova distruzione. Ci vuole una bella dose di coraggio ora a ricominciare da questo luogo. Ci vuole fede, ci vuole certezza, ma quanto dolore…
Intanto a Les Cayes, al sud, dove ieri pomeriggio c’è stata una rivolta nel carcere, la situazione è apparentemente piu tranquilla. Succede però che molte persone uscite dal carcere hanno lasciato la capitale e hanno raggiunto cittadine piu decentrate. Les cayes è una delle piu facili da raggiungere, in 8 ore ci si arriva. Questa catastrofe sta generando un problema di sicurezza anche perché molte persone al margine della legalità stanno “cambiando sede”, divenendo incontrollabili.
Hanno cambiato sede anche quelli che hanno perso tutto. Tornano alle famiglie d’origine, nelle zone rurali. Così, tutte le famiglie di Cayes stanno ricevendo almeno un parente.
Poi c’è un campo sfollati e ci sono i feriti. Si discute di fare enormi campi, forse 13, fuori della città. Così, come prima reazione sembra una soluzione disumana. Seguiremo il dossier, anche per essere al fianco delle persone che albergano nei 2 campi dove noi operiamo.
In uno di questi ho visitato una mamma, rimasta con 8 figli, il marito è morto nel sisma. La ragazzina più grande, 15 anni, partecipava alle nostre attività educative e ricreative e al sostegno scolastico. Ero andata a trovarla subito dopo il terremoto: una tenda fatta di lenzuola, alta 80 centimetri, due metri per tre, ospitava nove persone. Oggi sono stata da lei ed erano sotto il "tendone blu" dell’Avsi.
La ragazzina mi ha detto: «Avevi ragione: siamo vivi e forti, ora abbiamo anche una nuova casa (la tenda). Tutti insieme e appiccicati, ma è bello anche così. Solo che mi devi promettere che verrai a trovarmi tutti i giorni, devi mantenere ancora tante promesse: la scuola e la bambola per la mia sorellina».
Ho promesso, è vero, ma che altro potevo fare? I rosari dal carcere di Padova, il sostegno dei ragazzi universitari dell’Aquila, i tanti e tanti che si sono attivati mi aiuteranno in questo.
Fiammetta