“La novità portata da questo stile molto immediato, dalla capacità di leggere la storia contemporanea con le sue crisi e i suoi drammi e la vicinanza di Francesco a quelle che lui chiama le povertà, le periferie del mondo, ha suscitato un indiscutibile interesse anche in Turchia” Padre Claudio Monge, domenicano trapiantato all’ombra della torre di Galata, nella occidentalizzata Istanbul, sa valutare con attenzione gli umori che soffiano sul Bosforo alla vigilia del viaggio di Papa Francesco nella terra della mezza luna.
Sulla collina che domina lo stretto del Corno d’Oro, nel convento addossato all’antica chiesa di San Domenico, dove si radunava sotto il dominio ottomano, la caparbia comunità levantina, l’esperto di letteratura turcomanna, amico di intellettuali islamici e dei maestri di mistica sufi, legge in prospettiva la visita che Bergoglio comincia oggi in Turchia. “C’è un’attesa curiosa rispetto anche a quello che potrebbe dire il Papa, soprattutto riguardo le tensioni drammatiche alla frontiera e alle situazione caratterizzate dallo scontro e dalla violenza nella vicina Siria e in Kurdistan. Papa Francesco si è dimostrato più volte attento a questo dramma che è umanitario ancor prima che confessionale”.
In un paese “incartato” politicamente, con la guerra alle porte, costretto a giustificare l’acquisto a basso prezzo del petrolio dalle zone controllate dall’Isis, ad arginare la protesta interna per gli scandali immobiliari e le incaute esternazioni del premier su donne e diritti, arriva il campione del dialogo e della pace, fresco di dichiarazioni sul “terrorismo di Stato” e sulla necessità di fermare la violenza degli estremisti con azioni concordate dalla comunità internazionale. Niente di più lontano dalla leggerezza con cui, senza calcolare le conseguenze, le potenze della regione hanno dapprima armato oppositori e mercenari della disperazione contro l’insopportabile vicino siriano per poi correre ai ripari e cercare alleati tra gli eterni e antichi nemici curdi. Un intricato mosaico di aspirazioni e bisogni che il Papa dovrà affrontare già nel suo primo giorno in terra turca.
“Quando circolò la notizia che Papa Francesco poteva venire per la festa di S. Andrea, ci fu qualcuno che tentò di lanciare l’invito a visitare uno dei tanti campi profughi del sud est del Paese, al confine con la Siria, per incontrare le centinaia di migliaia di persone senza terra e senza speranza, fuggite alla violenza e alla guerra. Sono convinto che se avesse potuto Papa Francesco avrebbe messo questa visita in testa alla sua agenda, ma è assolutamente impossibile. Eppure visitare la Turchia in questo momento è come affacciarsi alla finestra più vicina sui drammi del Medio Oriente. Credo che Papa Francesco avrà gesti e parole semplici e chiare, per testimoniare la sua vicinanza alla sofferenza di tanti profughi”. Testimoniare quella speranza che non può passare attraverso soluzioni violente e di guerra, ma deve essere costruita con il dialogo e con l’incontro.
In che modo i profughi e i rifugiati siriani e turchi hanno influito sull’equilibrio, già delicato della società turca?
Chi vive la quotidianità della Turchia sa che la presenza dei profughi siriani è un fatto visibile, sono centinaia di migliaia anche nella sola Istanbul. Si riversano sui marciapiedi… è impossibile che il Papa non se ne accorga. Sono cifre da tragedia umanitaria che potrebbero diventare sempre più importanti, superiori al milione solo per i rifugiati siriani, e il paese fa fatica ad ammortizzarle. L’emorragia è iniziata nel mese del Ramadan, durante il quale il credente musulmano è particolarmente sollecitato a un’attenzione sociale per il bisognoso, per il povero. Finito il Ramadan, e con incremento ulteriore di profughi, nelle ultime settimane si respiravano i primi segni di insofferenza, ma questi disperati non possono scomparire e bisognerebbe trovare soluzioni politiche e sociali. Nello stesso tempo bisognerebbe cominciare ad interrogarsi sul perché in Turchia, ma anche in Occidente, si reagisce in maniera emergenziale a dei drammi suscitati da politiche scriteriate. Si gioca col fuoco per bassissimi interessi economici fino a calpestare la dignità umana.
Di nuovo un pontefice nella Moschea Blu. Che significato potrà assumere per il dialogo interreligioso questo incontro tra Francesco e l’islam turco?
Quando parliamo di islam abbiamo la tendenza in Occidente a considerarlo come un monolite compatto, cosa che non è. L’islam ottomano storicamente possiede una diversità, una eccezione che spesso nella storia è stata considerata eterodossa rispetto all’islam classico e sunnita. Credo che Papa Francesco con la sua capacità di andare al cuore dell’essenziale e delle ricchezze di cui l’altro può essere portatore, con il contatto immediato di cui è capace favorirà un incontro positivo, che in qualche modo “costringerà” i musulmani a testimoniare la ricchezza del loro patrimonio spirituale e a denunciare e isolare espressioni che in nome dell’islam non fanno che presentare un nichilismo mostruoso che calpesta la vita e i diritti umani più elementari.
Potrebbe rafforzare quella parte dell’islam che capisce la drammaticità del momento e che è disposto al confronto con la modernità?
Direi che indipendentemente dalle posizioni di Papa Francesco, questa epoca complessa, dura, difficile, sta provocando un dibattito interno al mondo islamico estremamente forte, che non si risolve in un ripensamento del rapporto con la modernità ma che chiede in modo impellente un ripensamento interno quasi dogmatico, per esempio nel rapporto ai testi fondatori e alla loro lettura. Tutto ciò implica anche un ripensamento delle responsabilità dei ruoli di autorità “magisteriali”, vale a dire chi ha un’autorità interpretativa e come l’interpretazione dei testi può essere universalizzabile all’interno dell’islam. Un intellettuale musulmano mio amico diceva: “Credo che è sempre più facile dialogare con un non musulmano che decide di aprire il suo cuore che con un musulmano con il quale diversità, preparazione e storia elementi che portano allo scontro”.
Che comunità cattolica troverà il Papa?
La presenza cristiana di Istanbul è variegata in appartenenze e riti diversi e ha conosciuto negli ultimi anni la novità di un’immigrazione sempre più importante. La Turchia è un paese strategico dal punto di vista geopolitico, un Paese che sta imbarcando tra le centinaia di migliaia di rifugiati anche cristiani. Ultimamente c’è un incremento dell’afflusso di immigrazione centrafricana e si è rinforzata l’immigrazione dell’estremo Oriente (Filippini) e dall’est Europa (più ortodossi che non cattolici). Quindi una comunità a geometria variabile, che richiede un’estrema capacità di accogliere anche lingue nuove che si aggiungono, esperienze diverse, tradizioni diverse, che vanno al di là della stessa forza di coloro che dovrebbero animarli.
Della comunità levantina che cosa è rimasto?
Con comunità levantina intendiamo una comunità di cristiani cattolici, generalmente latini, discendenti di cristiani soggetti all’impero ottomano, quindi che sono in Turchia già da diverse generazioni e che hanno in qualche modo anche difeso il loro stato d’eccezione, in modo anche impermeabile a qualsiasi integrazione culturale e linguistica, o per lo meno da un punto di vista rituale. È una comunità in diminuzione: le nuove generazioni hanno lasciato il paese, quindi è una comunità che invecchia e che deve gestire un rapporto tra generazioni non facile. Le nuove generazioni non sono disposte a perpetuare il ricordo di un’appartenenza culturale e poi di fede.
Cosa potrebbe significare per questa comunità la presenza di Papa Francesco?
Mi auguro che Papa Francesco con il suo messaggio diretto possa ravvivare quella piccola fiamma che il Sinodo del medio Oriente aveva a suo tempo riacceso soprattutto nella sua fase di preparazione. Quel messaggio chiaro che nel documento preparatorio del Sinodo si declinava nel senso di comunione come testimonianza. È evidente che il fatto di essere una minoranza giustifica ancora di meno le divisioni eccessive da un punto di vista rituale e pastorale. Chiede uno sforzo maggiore di incontro e di cammino comune verso l’essenza del Vangelo che è innanzitutto il mistero pasquale. Senza perdere ovviamente quella che è la ricchezza dei riti di ciascuno, delle tradizioni di ciascuno che a loro volta devono essere ripensate e ristudiate senza semplicemente essere una reliquia da spolverare. Io credo che Papa Francesco con la sua capacità di lettura del tempo presente saprà scuotere i nostri animi di credenti minoritari di questo Paese, saprà fare il legame con la storia straordinaria di queste terre che sono terre sante del cristianesimo e ridare attualità a una testimonianza cristiana importante non perché si è molti e forti, ma perché si declina, come nel Vangelo ,nella semplicità e nella debolezza di essere pochi e stranieri.