Nicola Boscoletto, direttore del Consorzio Rebus, ha fatto pervenire in redazione un messaggio di alcuni detenuti del carcere Due Palazzi di Padova, commossi per la tragedia di Haiti.
Caro direttore,
Pregare non è l’ultima ratio. Si può essere spinti da una situazione particolare e drammatica, ma poi ci si rende conto che la preghiera ha un senso, se si rivolge a qualcuno che è presente, misterioso ma presente. Il gesto più semplice e ragionevole che riguarda tutti.
Le racconto un esempio. Subito dopo il terremoto ad Haiti mi sono arrivate sollecitazioni da alcuni detenuti da più parti d’Italia, in particolare dal carcere di Brucoli in Sicilia, dove un gruppetto di carcerati si è immediatamente reso disponibile anche a partire per Haiti, dicendo che così almeno la loro vita sarebbe servita a qualcosa. Il contrario, cioè, di quanto avviene normalmente in carcere. Ma non è questo, adesso, il punto.
Il fatto è che a Brucoli come a Padova, e come in tante altri carceri d’Italia si inizia a pregare. Qualche giorno fa ho avuto modo di raccontare ad Avsi – che opera ad Haiti dal 1999 e segue circa 3000 bambini – delle sollecitazioni arrivate dai detenuti e che proprio per i detenuti, impossibilitati più di ogni altro, la preghiera era diventata la cosa più semplice da fare.
Alla mia domanda su che cosa servisse di più nel dramma di Haiti la risposta dei coordinatori di Avsi è stata l’invito a pregare e a chiederlo a chi già non lo fa, con l’intenzione particolare che coloro che sono sopravvissuti e tutti volontari in questo momento in cui tutto sembra svanire non perdano il coraggio; e a raccogliere fondi da destinare a chi già opera ed è presente sul posto.
La cosa mi ha colpito ed il mattino seguente ho immediatamente chiamato il carcere di Brucoli dando loro queste due indicazioni. Si erano già messi in moto e stavano già pensando ad un lavoro da fare in collaborazione con Avsi, con lo scopo di destinare il ricavato ad Haiti. Anche a Padova i detenuti mi hanno chiesto di far arrivare ad Avsi un messaggio. Si tratta della lettera che riporto di seguito.
Clicca >> qui sotto per leggere la lettera dei detenuti del carcere Due Palazzi di Padova
«Rientrando in cella dopo una giornata di lavoro abbiamo appreso dai telegiornali la straziante notizia del terremoto ad Haiti.
Il pensiero è andato a tutte le persone morte, a quelle ferite, a quelle che comunque, in ogni caso, stanno soffrendo. Col passare delle ore aumentava l’enormità della catastrofe. La prima istintiva domanda che ci è venuta in mente, come a tante persone nel mondo del resto, è stata: “Come ci si può adoperare per dare un aiuto, per non restare indifferenti a questa situazione?”.
Anche in Italia, anche se di dimensioni minori, abbiamo avuto terremoti e devastazioni varie, ma a un dolore così grande non ci si abitua mai. Anche tra di noi è quindi calata la tristezza, un senso di sgomento profondo, e ci siamo chiesti se ci fosse un perché a tutto questo. Cosa sta chiedendo il Signore a quella popolazione che già non ha nulla?
Di fronte a tale sofferenza ci siamo allora rinchiusi in un rispettoso e discreto silenzio. Le immagini dei bambini oramai privi di vita tirati fuori dalle macerie, o degli altri piccoli bambini disperati e soli in mezzo alle strade, ci hanno straziato il cuore. Le immagini di quegli occhi disperati, frastornati e persi, raccontano tutto il bisogno di quella popolazione, di quei fratelli, e fanno tanto male, ma nonostante ciò, in tanti occhi e in tanti sorrisi, in tanti volti abbiamo anche letto la speranza e la voglia di andare avanti.
Ed è proprio perché alla popolazione haitiana non venga mai meno il desiderio di andare avanti, e soprattutto la speranza in un domani migliore, che ci raccogliamo in preghiera, chiedendo al Signore di unirci in qualche modo a voi.
Abbiamo visto immagini forti, e forse le più sorprendenti sono state proprio quelle di persone gravemente ferite le cui parole sono state ancora più forti, dirompenti. Una signora appena estratta dalle macerie ha detto: “Mai, nemmeno per un istante in questi lunghi giorni, nonostante mi trovassi praticamente sepolta viva, ho pensato di morire. Ho molto pregato e proprio la fede mi ha aiutato, mi ha salvato la vita…”.
Ecco, siamo sicuri che Cristo non vi lascerà mai da soli nella sofferenza, e proprio per questo vi siamo vicini con le nostre preghiere, che in questo momento di difficile organizzazione riteniamo per certi versi più “importanti” di un aiuto economico o materiale, che comunque non vi faremo mancare appena ci sarà possibile.
Tutta la Comunità del carcere Due Palazzi e gli amici del Consorzio Rebus vi sono vicini nel dolore, siete costantemente nei nostri pensieri e nelle nostre preghiere. Non perdete mai la speranza. Il Signore vi è vicino».