Giovedì è stato approvato dalla Camera dei deputati, con il solo sostegno dei popolari, il pacchetto di tagli del Governo Rajoy. Sui socialisti non si può fare affidamento: Rubalcaba non governa il suo partito e ha dovuto fare un discorso più duro del solito a causa di un’opposizione interna che chiede di tenere una posizione più radicale. E non c’è stato nemmeno l’appoggio del CiU (Convergència i Unió, coalizione di partiti catalani, ndr). Nonostante i nazionalisti catalani condividano la posizione di fondo del Governo, non vogliono unirsi alla maggioranza assoluta di Madrid.
La solitudine del Governo non rappresenta il maggior problema. Ha sufficiente legittimità politica e i sondaggi non mostrano cali significativi del consenso nei suoi confronti. Nemmeno sono rilevanti le proteste nelle strade: hanno poco peso rispetto ai tagli di circa 60 miliardi che sono stati approvati. Il dramma è che il voto è giunto mentre si stavano collocando i Bonos a due, cinque e sette anni con poca domanda e con il rendimento più alto della storia.
Lo spread si è impennato e la cosa si fa seria. Né il salvataggio delle banche approvato dall’Eurogruppo, né la manovra di Rajoy riescono a placare i mercati. Solo un acquisto massiccio del debito potrà essere d’aiuto. Ma al momento non sembra possibile, perché la Germania si oppone. Forse fin quando non ci saranno ancora più tagli. Ma questo vuol dire che l’agonia può prolungarsi.
Appena approvato il taglio più importante della storia della democrazia spagnola già si parla del successivo: riduzione delle pensioni e meno sussidi alla disoccupazione. La situazione si fa così seria che i dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica confermano che l’emigrazione è diventata ormai per alcuni una scelta. Non si tratta ancora di dati statisticamente rilevanti, ma rivelano comunque una tendenza in atto, nel quale le cifre dei movimenti migratori si sono invertite.
Nel 2011, infatti, hanno lasciato la Spagna quasi 60mila persone: un numero più alto rispetto a quelle che sono entrate. Nei primi sei mesi dell’anno già 40mila spagnoli hanno lasciato il Paese, con un aumento quindi del 44%. Le statistiche non consentono di accertare se si tratta di spagnoli “di lungo corso” o che hanno acquisito la nazionalità di recente (dal 2008 sono state 435mila le persone che hanno ottenuto la nazionalità per residenza). Ma tutto lascia supporre che tra coloro che se ne vanno la maggioranza sia formata da questo secondo gruppo.
Si tratta di persone che molto probabilmente arrivavano già da un altro Paese e che ora cercano nel Regno Unito, in Francia, Germania e Stati Uniti, quel che finora gli aveva offerto la Spagna. Il numero complessivo di 40mila emigrati è una percentuale piccola rispetto ai 5 milioni di disoccupati. Quel che sorprende è la rapida inversione di tendenza in un lasso di tempo così breve. Siamo comunque ancora lontani da quel movimento migratorio che tra il 1940 e il 1960 ha visto 650mila spagnoli uscire dal Paese. Ma è evidente che la Spagna perde popolazione perché non ha sostituito il vecchio modello della bolla immobiliare con un nuovo modello produttivo.
Negli ultimi giorni il Fmi ha abbassato le previsioni del Pil nel 2013 al -0,6%. Se la Germania non si affretterà, dopo i nuovi sacrifici, a consentire l’acquisto del debito ci troveremo all’inizio di una grande sfida: rifondare economicamente il Paese.