Con un’intervista alla tv israeliana Channel 2 il presidente dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen, ha riscosso il caloroso apprezzamento del presidente Shimon Peres, ma ha sollevato anche vivaci proteste da parte degli abitanti della Striscia di Gaza. Abu Mazen ha sottolineato di riconoscere l’esistenza dello Stato di Israele e di considerarne come confini quelli che hanno preceduto l’invasione della Cisgiordania. Ilsussidiario.net ha intervistato Michael Herzog, editorialista del quotidiano israeliano Haaretz, per chiedergli di commentare le parole di Abu Mazen.
Herzog, si tratta di affermazioni importanti o soltanto di concessioni di facciata?
Per le orecchie israeliane quelle di Abu Mazen sono dichiarazioni molto importanti. Mi riferisco in particolare al fatto che egli riconosca che l’accordo debba riguardare i confini del 1967, e non quelli del 1948, come pure il fatto che egli accetti la dichiarazione dello Stato di Israele. I nostri timori erano infatti che i palestinesi volessero richiamarsi ai confini del 1948, ed è per questo che le parole di Abu Mazen rappresentano un passo in avanti.
Shimon Peres ha elogiato Abu Mazen per le sue parole. Può essere il punto di avvio di nuovi negoziati di pace?
Lo spero. Ma per dimostrare di essere un partner affidabile, Abu Mazen deve venire al tavolo e negoziare, e mi auguro che ciò accada al più presto. Temo però che si andrà in tutt’altra direzione, perché Abu Mazen intende rivolgersi all’Onu e cercare di ottenere lo status di Paese non membro.
Perché ciò la preoccupa?
Questa mossa non incoraggerà certo i negoziati, ma implicherà una risposta negativa da parte di Stati Uniti e di Israele. Gli stessi europei stanno cercando di convincere Abu Mazen a non rivolgersi subito all’Onu. Sottolineo inoltre che sarebbe un errore farlo durante le elezioni israeliane, perché è un fatto molto negativo affrontare una campagna elettorale nel momento in cui gli elettori sono spaventati da mosse di questo tipo. Spero quindi che le dichiarazioni positive di Abu Mazen contribuiscano alla pace, ma mi auguro anche che non siano annullate da azioni altrettanto negative.
Per quale motivo Israele teme gli effetti della diplomazia di Abu Mazen all’Onu?
Noi non abbiamo paura della diplomazia palestinese, ma occorre rendersi conto di qual è realmente la posta in gioco. In questo modo l’Autorità Palestinese rinuncia al concetto secondo cui tutto va risolto attraverso i negoziati. Abu Mazen sembra così preferire un diktat internazionale, piuttosto che sedersi insieme attorno a un tavolo. Ma c’è anche un secondo problema, e cioè che cosa se ne vogliano fare i palestinesi del riconoscimento come Stato. Stando alle loro esplicite dichiarazioni, ciò fornirà loro la giurisdizione per rivolgersi ai vari organismi internazionali e condurre una vera e propria battaglia legale contro di noi. Per esempio potranno portare Israele di fronte alla Corte penale internazionale, ed è facile comprendere quali sarebbero le conseguenze sul processo di pace. E’ quindi più che naturale che gli israeliani siano preoccupati. Preferirei che, prima di recarsi all’Onu, israeliani e palestinesi ne discutessero insieme per vedere se possono raggiungere un accordo.
Come si spiega che Benjamin Netanyahu non abbia commentato le dichiarazioni di Abu Mazen?
Con una certa frustrazione da parte del capo del governo israeliano, per l’impossibilità di sedersi attorno a un tavolo e discuterne direttamente con Abu Mazen.
Le elezioni possono riaprire questa possibilità?
Dipende da quali saranno i risultati e il nuovo governo che ne uscirà. Se il 22 gennaio prossimo dovesse vincere una coalizione di destra priva di contrappesi in Parlamento, non sono molto speranzoso che ciò possa riavvicinare israeliani e palestinesi.
E’ questo che si aspetta?
Giudicando dai sondaggi, la destra in quanto blocco composto da diversi partiti ha le migliori possibilità di formare il prossimo governo. Bisogna però essere cauti nel fare previsioni, anche perché di qui al 22 gennaio possono cambiare ancora molte cose.
Se i negoziati non decollano, la responsabilità è solo di Abu Mazen?
La responsabilità è di entrambe le parti. Da un lato, Abu Mazen ha dichiarato che non parteciperà ai negoziati senza che siano prima garantite determinate condizioni. Chiede per esempio che Israele riconosca in anticipo i confini del 1967 e accetti il congelamento degli insediamenti dei coloni. Israele d’altra parte ha sempre risposto che si trattava di richieste da discutere non prima, bensì durante i negoziati. D’altra parte la responsabilità di Israele è quella di non avere mai presentato le sue condizioni e i suoi parametri per la pace. Dovrà farlo al più presto, subito dopo le elezioni.
(Pietro Vernizzi)