Non è solo un evento per l’America: l’insediamento ufficiale di Barack Obama alla Casa Bianca è certamente un momento cruciale per il mondo intero, sia sul versante dei rapporti di forza internazionali, sia su quello della reazione a una crisi economica le cui dimensioni sono evidentemente mondiali.
Edward Luttwak, politologo di fama internazionale ed esperto di politica americana e di Medio Oriente, non nasconde le difficoltà che Obama dovrà affrontare; ma al tempo stesso sottolinea anch’egli il fatto che questo cambiamento può essere un’opportunità per gli Usa e per il mondo intero.
Professor Luttwak, dopo la straordinaria vittoria di Obama nelle scorse elezioni presidenziali, il popolo americano riserva enormi aspettative verso il suo 44esimo presidente. Quali decisioni affronterà Obama nei suoi primi 100 giorni?
Al centro di tutto vi è la crisi economica. Adesso il cittadino americano sta riducendo in modo significativo le sue spese: abbassa i propri consumi e vuol ripagare i propri debiti. Obama punta a un aumento generalizzato dei consumi, che possa avere effetti a catena su tutto il mondo, anche in Europa e Cina. Ma l’ipotesi è quanto mai ardua, dal momento che la crisi stessa investe il mondo intero. E le soluzioni non sono le stesse per tutti: l’Italia, ad esempio, dovrebbe abbassare le tasse e aumentare i redditi; la Germania, che non ha il debito dell’Italia, si oppone a cambiamenti radicali, convinta del fatto che il proprio modello abbia funzionato. Quindi siamo di fronte a posizioni diverse, che non possono essere risolte in modo univoco.
Il pacchetto economico che sta varando il Congresso imporrà a Obama significativi cambiamenti di programma?
Non c’è mai stato un momento favorevole per le politiche di Obama come quello attuale. Proprio in un momento come questo, in cui è necessario l’intervento della mano pubblica per risollevare il Paese, il piano di Obama per rilanciare l’industria automobilistica, per investire in nuove centrali che producano energia e per rinnovare le infrastrutture diventa indispensabile. E su questo Obama si gioca la partita. Il fatto poi che il nuovo presidente non potrà alzare le tasse (almeno in tempi brevi) per chi guadagna più di 200.000 dollari annuali, e che dovrà investire anche nella costruzione di centrali nucleari sono a mio avviso aspetti secondari.
Come giudica la squadra messa in campo da Obama?
Sicuramente è una squadra di grande competenza. Ognuno di questi uomini è davvero brillante. Il rischio però è quello già fatto dall’amministrazione Carter, che aveva messo in piedi una squadra di esperti eccellenti ma senza una visione comune. In questo caso se non ci sarà una regia comune, soprattutto per le politiche economiche, saranno guai seri.
Nonostante la forte contrapposizione che il presidente Obama ha sempre sottolineato con George W. Bush si possono prefigurare alcuni elementi di continuità con la precedente amministrazione repubblicana?
Innanzitutto la fortuna di Obama è quella di ereditare una situazione in Iraq stabilizzata grazie alla vittoria degli Stati Uniti nella seconda guerra del Golfo. Detto questo, la continuità di Obama con Bush verterà intorno alla prosecuzione della guerra al terrorismo in Medio Oriente. E per far questo Obama può compiere la mossa che vuole, come ad esempio dislocare le truppe dall’Iraq in altri Stati. Sicuramente dovrà sbandierare quanto promesso in campagna elettorale; ma è un fatto che le truppe americane si stanno già ritirando dall’Iraq.
A proposito di Medio Oriente, la recente guerra tra israeliani e palestinesi creerà uno spostamento di priorità rispetto al programma elettorale dei democratici?
Innanzitutto Obama prenderà contatti con l’Iran, e questa è una strategia sapiente perché non si può non dialogare e se possibile prendere accordi con l’Iran in quell’area del mondo. Una delle critiche di maggior successo che Obama muoveva all’amministrazione Bush era proprio l’incapacità di dialogare con i nostri nemici. Vedremo se ci riuscirà lui. La vera questione drammatica invece è che nel conflitto israelo-palestinese non vi è un vero interlocutore da parte palestinese. Se l’amministrazione Obama non l’ha già scoperto, si renderà ben conto che quel conflitto non è risolvibile, almeno in questa generazione. Lo scontro in atto è solo amministrabile. Purtroppo il partito Fatah è profondamente corrotto e non gode più di alcuna stima e potere tra i palestinesi.
In campagna elettorale Obama è parso, tra gli esponenti democratici, il candidato più rispettoso e attento al dialogo con la componente dei conservatori sociali attenti alle tematiche della difesa della vita fin dal concepimento. Tale atteggiamento è stato solo fine strategia politica, o permangono margini di dialogo e punti d’incontro tra le posizioni radicali e quelle conservatrici ?
Su questo aspetto bisogna innanzitutto chiarire che Obama già lavora in funzione della sua eventuale rielezione nel 2012. Barack Obama è e sarà un presidente assolutamente centrista. In questo ha dato grandi delusioni alle componenti radicali del Partito Democratico, che non per nulla gli hanno già mosso aspre critiche. Obama tiene molto al dialogo con le componenti “pro-life” in questo momento all’opposizione. Prova ne è che McCain è più ascoltato da Obama che da altri esponenti del partito democratico. Detto questo Obama, non sposerà mai le idee dei repubblicani; ma allo stesso tempo, nel caso di nuove nomine per i giudici della Corte Suprema, non sceglierà magistrati ultra-radicali.
Cosa ci si deve aspettare per le relazioni tra Usa e Europa con il passaggio alla nuova amministrazione?
Sicuramente un maggiore coinvolgimento dell’Europa nella missione in Afghanistan. Maggiore cooperazione rispetto all’amministrazione Bush vorrà dire per l’Europa – tanto per essere chiari – una maggiore spesa militare. Vedremo su questo quanto l’Europa sarà disposta a fare. L’Italia in particolare potrebbe sicuramente avere un ruolo importante, grazie all’invio dei suoi carabinieri nella striscia di Gaza.