Un’esplosione di violenza nel campo profughi siriano di Zaatari in Giordania che la dice lunga sulla situazione, gravemente precaria e sul punto di sfuggire al controllo da parte delle forze di sicurezza. Dall’inizio della rivoluzione contro Assad, il 15 marzo 2011, milioni di profughi si sono riversati in Libano, Turchia e Giordania. Nei giorni scorsi a Zaatari almeno una persona è morta e dodici sono rimaste ferite nel corso degli scontri negli accampamenti che ospitano 106mila siriani. Le forze giordane hanno utilizzato gas lacrimogeni contro i rifugiati che lanciavano pietre dopo avere incendiato alcune tende e automobili. Come rivela Marco Perini, responsabile di Avsi in Libano, anche a Beirut e nel resto del Paese dei Cedri la presenza massiccia dei profughi siriani sta creando una situazione sempre più esplosiva.
Perini, quanti sono i profughi siriani in Libano?
In Libano il numero di profughi registrati all’Unhcr non solo non diminuisce ma è aumentato e ha superato il milione. Nella realtà il vero numero di profughi è molto più elevato, e per il Libano ciò vuol dire che un 25-30% della popolazione totale è attualmente composto da profughi. Facendo le proporzioni con l’Italia, sarebbero in tutto 10 milioni di profughi, un numero enorme con un potenziale di problematiche sociali grandissimo.
Quali sono le differenze tra la situazione della Giordania e quella del Libano?
In Giordania gli scontri tra polizia e profughi sono avvenuti nei campi, in Libano ci sono pochi campi, ma la presenza dei profughi siriani è ovunque. Nel quartiere di Beirut dove Avsi ha gli uffici, gli appartamenti intorno a noi sono completamente pieni di profughi, con tantissime persone che vivono in pochi metri quadrati per pagare meno. Questa gente non lavora, tutti i giorni convive con i libanesi e ciò può creare delle tensioni che potenzialmente possono essere molto gravi.
Può fare un esempio di quanto sta accadendo?
Avsi è attiva nel Comune di Quaroun, dove ci sono 1.300 abitanti libanesi e 1.700 profughi. Tre anni fa all’inizio della crisi la situazione era gestibile, perché chi accoglieva aveva qualcosa da dare, oggi con questi numeri è una realtà fuori controllo. Qui i problemi vanno dal piccolo furtarello al fatto che dei libanesi stanno perdendo il posto di lavoro perché la manodopera siriana costa meno.
Quindi i profughi stanno avendo un impatto anche sui livelli di occupazione?
Certamente, e le farò un esempio molto chiaro. Il nostro autista George è un libanese e prima di venire a lavorare con noi faceva il piastrellista. E’ stato costretto a cambiare lavoro perché dei profughi siriani hanno iniziato a proporsi sul mercato del lavoro con le stesse competenze a un prezzo più basso di George. George ha dovuto abbassare il prezzo finché non ce l’ha più fatta e ha chiuso la sua attività di piccolo imprenditore. Tutte queste cose messe insieme provocano un’escalation di problemi sociali molto elevata.
La popolazione libanese vive un’ostilità nei confronti dei profughi?
Per fortuna no, se si fosse innescato questo meccanismo oggi in Libano la situazione sarebbe sull’orlo del collasso. L’economia però è allo sbando e questa presenza così massiccia di profughi ha avuto ripercussioni immediate non solo sui livelli di occupazione, ma anche sul turismo. Da due anni tutti gli indicatori turistici si sono enormemente abbassati proprio per questa situazione di incertezza. Quanto sta avvenendo nella città di Tripoli, dove ormai da mesi quotidianamente si scontrano le stesse fazioni che in Siria si stanno facendo la guerra mette a repentaglio il turismo, in quanto crea una situazione molto complessa per la sicurezza del Paese.
Quanto sono frequenti gli attentati in Libano?
Da due settimane sembra che grazie alla nomina del nuovo governo tutto sia ritornato alla normalità, ma prima di allora erano ricorrenti le autobombe sia a Beirut sia in altre aree del Paese. E’ una situazione delicata e sempre in bilico, che rischia sempre di degenerare.
Avsi in particolare che cosa sta facendo?
Avsi in questo momento sta aiutando 13.500 famiglie di profughi, e la cosa più importante che stiamo compiendo è contattare le municipalità libanesi per individuare i lavori che non riescono a svolgere autonomamente, come pulire i fossi a bordo delle strade o creare delle barriere tagliafuoco nelle foreste. A quel punto organizziamo équipes da 10-15 siriani l’una, capitanate da un libanese espressione della municipalità, le facciamo lavorare e alla fine della giornata le paghiamo.
(Pietro Vernizzi)